giovedì 8 novembre 2018

Il cambiamento climatico


Se consumassimo per il 90% della nostra dieta quotidiana legumi come ceci, fagioli, lenticchie (tra poco più di un mese è Natale), ricchi di proteine, e cereali (come mais, avena, sorgo), ricchi di carboidrati, abbandonando per 6 giorni alla settimana la carne e sostituendola anche con del buon formaggio di malga e semi oleosi (arachidi, noci, nocciole), ne gioverebbe la nostra salute, mettendosi al riparo dalla obesità e dal colesterolo “cattivo”, ma non solo. Si salverebbero interi ecosistemi e biodiversità. E forse non dovremmo più assistere a catastrofi come quelli dell’alluvione di questi giorni nel bellunese. Perché capre, pecore e vacche lasciate libere di pascolare sulle montagne sono un ottimo deterrente a questo tipo di eventi e danno un latte, e quindi un formaggio, migliori, contribuendo a tenere “puliti” i nostri boschi. La pianura padana è una delle zone più a rischio idrogeologico perché  iper antropizzata e più inquinata. E l’inquinamento non deriva solo dagli scarichi delle automobili e dal riscaldamento delle caldaie domestiche. Ma anche e soprattutto dai liquami degli allevamenti suini e dalle emissioni gassose delle mucche. In più, la produzione di una sola bistecca impiega moltissima acqua. Il cambiamento climatico che ne deriva è uno degli allarmi più sentiti. Anche e soprattutto dai Millennials e dalla generazione Z, che esigono prodotti puliti, responsabili della salute dell’uomo e dell’ambiente, e certificati. Come confermato anche da una ricerca Nielsen che ho già ricordato su queste pagine.   

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