giovedì 30 dicembre 2010

Verdurai “in piazza”

L’ “anno nero” dell’agricoltura italiana, il 2009, le cui ripercussioni si sono fatte sentire anche nel corso del 2010, ha indotto alcune riflessioni, tra le quali le più significative ci sembrano quelle sulla distribuzione.
Avete presente i verdurai (a Trieste si chiamavano le “venderigole”: erano quasi tutte donne) in piazza? Ossia i contadini che vendevano direttamente i prodotti della loro terra nei mercati delle piazze di paese? Ecco, il sistema di vendita della frutta e della verdura, che oggi passa, a parte gli ambulanti che le sopravvivono, per la maggior parte attraverso la modernissima grande distribuzione (super e ipermercati), è stato paragonato a quell’esperienza dell’immediato dopoguerra.
A dirlo non è qualche pericoloso esponente della “food rebellion”, tipo Carlo Petrini, ma il ben più moderato presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, secondo il quale: "Il sistema è organizzato come quando si vendeva sulla piazza di paese".
Adesso esistono anche i farmer market, odierna riedizione della vendita diretta in chiave di filiera corta, ma con un calo del 1,8% della produzione contadina e un -3% di valore aggiunto del settore, e con le imprese agricole che chiudono i battenti - solo nel 2009 25mila (pari a -2,8%) – non ci guadagnano né contadini né consumatori. Il nodo della distribuzione incide infatti anche sui prezzi, con un incremento medio nello stesso anno del +1,59% per la frutta e del +1,65% per la verdura (dati Osservatorio Macfrut).
Costi di produzione in continua crescita (dal +2,9% registrato nell’ ottobre 2010 da Ismea al + 5%, dato diffuso insieme agli altri dalla Cia, Confederazione italiana agricoltori) e prezzi all’origine in diminuzione, gravano pesantemente sugli agricoltori che presto dovranno fare anche i conti con una Pac (Politica agricola comunitaria) riformata in una direzione che non si è capito ancora quanto premierà produzioni di qualità, o non andrà piuttosto a loro discapito, dovendo sovvenzionare anche l’agricoltura dei paesi comunitari di nuova acquisizione. Intanto, anche se in Italia nel 2009 sono cresciute le famiglie che consumano ortofrutta, oggi vicine al 99%, ognuna ne aveva comprati dieci chili in meno (dato Macfrut). 

martedì 28 dicembre 2010

A cosa serve l'agricoltura?

All ’inizio ci era sembrato un po’ ingenuo mettere nella testatina di questo blog un pensiero sulla necessità di dare cibo a tutti. Ma  sabato 27 novembre, Alberto Grimelli ha scritto su Italia Oggi, nelle pagine del supplemento Agricoltura Oggi, che l’Accademia dei Georgofili, nata a Firenze alla fine del Settecento per mettere le scoperte della scienza al servizio di chi lavora la terra (georgos= in greco, contadino, e philos= amico), ribadisce il ruolo centrale dell’agricoltura che è proprio quello, secondo le parole del suo presidente, Franco Scaramuzzi, di assicurare cibo a tutti.
Di cibo adesso l’agricoltura, e l’intero sistema agroalimentare, ne produce tanto ma, paradossalmente, non ce n’è abbastanza. Però fare un discorso critico su questo tema è molto difficile, proprio perché oggi tutti sono capaci di far notare che quasi un miliardo di persone nel mondo soffre ancora la fame, e che invece l’Occidente butta nella spazzatura tonnellate e tonnellate di alimenti ancora buoni da mangiare.
Persino l’industria, che spesso vive dei profitti fatti in Occidente proprio a spese dei paesi sottosviluppati, si fa carico del problema della fame nel mondo, come di quello del benessere dei suoi consumatori dopo averne indotto il bisogno determinato dalla sovralimentazione, destinando parte dei propri profitti ad iniziative umanitarie di vario genere, l’ultima delle quali è andata a favore dei bambini di Haiti. Ma su temi come questo, cioè il cibo come valore solo se ce n’è per tutti, che interessano la vita di tante persone, e su altri come quelli dell’ energia pulita, dell’ ambiente, dell’ acqua pubblica, altrettanto cruciali, la responsabilità sociale non è quella di impresa, finalizzata al profitto, quanto restituire ai cittadini la libertà, e non l’obbligo, come si fa nei confronti dei consumatori, di scegliere.

mercoledì 15 dicembre 2010

L’altra Expo


Il progetto Nutrire Milano (www.nutriremilano.it), realizzato da Slow Food Italia con la consulenza di Politecnico di Milano, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, con il contributo di Fondazione Cariplo, Comune di Milano e la partecipazione di Slow Food Lombardia, sarà l’alternativa agli orti di Expo 2015?
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è stato lo slogan di Moratti e soci per vedersi attribuire dal Bureau des Expositions l’Expo a Milano, invece che a Smirne (Turchia), l’altra candidata. Ma nutrire il pianeta, oggi che tanto cibo viene sprecato, e che miliardi di persone muoiono ancora di fame, non è forse un obiettivo un po’ troppo ambizioso per una città che da anni non sa risolvere nemmeno i problemi del suo territorio?
Carlo Petrini, invece, “abbassa” il tiro: riuscire a “nutrire Milano” producendo nuova “energia per il cambiamento”, come recita lo slogan del lancio della sua campagna in favore della filiera corta, della tutela del lavoro contadino e delle coltivazioni pulite del Parco Agricolo Sud Milano, sarebbe già un gran bel traguardo.  

giovedì 25 novembre 2010

Il “paradosso” del Dolcetto

E alla fine i produttori di Dolcetto di Dogliani, la più famosa tra le denominazioni di vino Dolcetto, hanno trovato la strategia alternativa per fare vini di prezzo adeguato ad una un’uva non facile, che richiede tanta manodopera e tanto lavoro, un’uva, come scrive Pierlorenzo Tasselli su wine surf “molto delicata, che richiede terreni leggeri e poco profondi, poca acqua, temperature miti... e quando le condizioni si discostano da quelle ottimali, non solo si rifiuta di maturare, ma si suicida e cade al suolo”.
E che determina quindi costi di produzione anche più alti del nebbiolo per produrre un vino che, come ha scritto sul sito del giornalista Luciano Pignataro il sommelier Alessandro Marra: "Sa stare a tavola per accompagnare i piatti della cucina di langa. Sa essere umile, ha capito che non deve per forza di cose nebbioleggiare e rifugge ogni tipo di paragone con les cépages ‘nobili’ dell'areale.” Quasi un vino di “sinistra” hanno detto questi blogger.La soluzione trovata è la nuova Docg Dogliani, il cui iter di richiesta si sta concludendo presso il Comitato Nazionale Vini, e che comprenderà, quando il decreto verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e cioè, come si augurano al Consorzio Vini di Langa, per la prossima vendemmia, i due Dolcetti di Dogliani, l’uno Doc e l’altro Docg già adesso, e il Dolcetto Doc delle Langhe Monregalesi (in tutto, 37.500 ettolitri l’anno su circa 1000 ettari).
Ai nostalgici, come me, del nome Dolcetto, che rimane adesso solo per quello di Alba, unito a Dogliani, sua patria la cui storia è legata indissolubilmente alla storia di questo vino, ha fatto molta specie sapere dal direttore del Consorzio Andrea Ferrero che: “Lo stesso nome del vitigno, quel ‘dolcetto’ che potrebbe erroneamente far pensare ad un contenuto di sapore dolce, ha spesso rappresentato un ostacolo ed un elemento di possibile confusione, soprattutto in Italia. All'estero invece, quasi per paradosso, il consumatore è più informato e questo inconveniente è stato presto superato.” Difatti negli Usa e in Australia lo comprano e sanno benissimo cos’è.
Certo d’ora in poi, con la nuova denominazione Dogliani, sarà impossibile non riconoscerlo per quello che offre: un sapore secco a dispetto del nome, un profumo deciso di frutti maturi, ciliegia marasca e prugna, e un colore rubino violetto che infiamma i calici. Ma volete mettere la soddisfazione di acquistare un vino che si chiama Dolcetto sapendo già che non è dolce? A quanto pare, molti italiani ancora adesso lo ignorano.


martedì 23 novembre 2010

Tra poco è Natale:
cosa bolle in pentola?

Il riconoscimento da parte dell'Unesco della dieta mediterranea pare abbia già scatenato il federalismo alimentare degli chef del Sud che se ne ritengono custodi: cucinare, anche salato, con la frutta secca, che si accompagna bene con il burro, le salse, i formaggi settentrionali, è forse la risposta dei cuochi del Nord.
La piramide della dieta mediterranea privilegia però gli alimenti freschi: le modalità di impiego migliori in cucina della frutta secca morbida e di quella croccante, rimangono allora, secondo Manuel Costardi, pur sempre quelle della confezione dei dolci che, consumati in misura minore, limitano l’apporto degli oli essenziali molto grassi che questa frutta contiene.
Le ricette con la frutta secca sono tra le più svariate, ma quelle salate sono le meno conosciute al grande pubblico, importante quindi la tecnica di esecuzione. Che, come ci spiega Christian Costardi, è tesa a esaltare il contrasto di consistenze morbido/croccante di formaggio e nocciole. Per questo ci consiglia di soffriggere poca cipolla in olio extravergine, far tostare il riso in questo soffritto, l’operazione più delicata, e poi sfumarvi un bicchiere di vino bianco. La toma e la fontina vanno invece fuse a parte non nel burro ma nella crema di latte e aggiunte al riso a ¾ della cottura. Il risotto va poi mantecato alla fine con una noce di burro. Il tocco dello chef, sono le nocciole sbriciolate, rosolate in un fondo di burro, sfumate con il Porto e spolverizzate di cannella, che vanno poi distribuite sopra il riso. Belle e buone. Da provare. Magari a Natale.  

lunedì 22 novembre 2010

Risotto e nocciole, perché la cucina italiana è più
della somma dei prodotti della dieta mediterranea



Un menu a base di frutta secca, dall’antipasto al dolce. E’ quello che hanno proposto stamattina in una galleria d’arte di Milano per il mese promozionale (fino al 31 dicembre) dei prodotti Madi Ventura, organizzato in collaborazione con 25 rinomati chef anche insegnanti alla scuola internazionale di alta cucina Alma, i fratelli Christian e Manuel Costardi. Una passione coltivata in tandem fin da piccoli, l’uno chef e l’altro pasticcere, hanno preparato oggi in diretta sotto gli occhi dei giornalisti un risotto al porto con  formaggi e nocciole del Piemonte, in carta adesso al ristorante dell’ Hotel Cinzia di Vercelli, una stella Michelin, dove lavorano. Ecco la ricetta con i loro commenti.
Come ha notato il Gastronauta Davide Paolini, i componenti dell’appena promossa patrimonio dell’Umanità “dieta mediterranea” non esauriscono i mille ingredienti delle ricette delle tante cucine regionali che ci sono in Italia: chiediamo, siete d’accordo? “Il Sud può andare giustamente fiero di olio, frutta e verdura fresca, pesce e pasta, prodotti importanti in una corretta alimentazione, ma ogni parte d’Italia dà il suo contributo diverso alla cucina italiana, come noi con i nostri 25 e più risotti in Piemonte, patria del riso, e con questo risotto ai formaggi, toma e fontina aggiunti ai tre quarti della cottura, con nocciole sbriciolate e cotte in una riduzione di Porto che aggiungiamo sopra il riso a fine cottura,” risponde Christian, dei due lo chef dei piatti salati.
Mentre Manuel, il pasticcere, ribadisce l’importanza della frutta secca nella preparazione dei dolci e le nocciole tostate in particolare per torroni, cioccolato, croccanti, gianduiotti e gelati, di cui ha preparato una versione all’azoto liquido, sistema di mantecatura che non perdona: “Per un buon risultato, la materia prima deve essere di altissima qualità – ci spiega – perché l’azoto liquido dà luogo a micro particelle che lo rendono più cremoso ma esaltano anche i sapori, in questo caso di un gelato di nocciole a base crema, in cui la frutta secca viene tritata e impastata con olio extravergine di oliva.” Ed ecco spiegata l’origine della definizione “gelato estemporaneo” con cui è presentato.