lunedì 30 gennaio 2012

Uova con sorpresa

Leggo sul tempo.it di tre giorni fa una news Adnkronos Salute che la Commissione europea ha messo in mora l’Italia, insieme ad altri 12 Paesi Ue, per non avere ancora attuato la direttiva 1999/74/CE che obbliga dal primo gennaio di quest’anno di allevare le galline ovaiole in “gabbie modificate” con maggiore spazio per nidificare, razzolare e appollaiarsi. “Ora - scrive Il Tempo - a seguito del provvedimento adottato oggi dalla Commissione, gli Stati membri dispongono di due mesi per rispondere alla lettera di costituzione in mora: se non lo faranno in modo soddisfacente, la Commissione invierà un ‘parere motivato’ con cui chiederà di adottare le misure necessarie per conformarsi, entro due mesi, alla direttiva.”

Intanto pare che le uova delle galline allevate nelle gabbie non ancora a norma non si esportano e non si vendono al dettaglio, ma solo all’industria. Ma il problema, in un Paese come il nostro che si vanta di avere la maggiore produzione agricola biologica dell’Europa e una delle più consistenti del mondo, resta: su 39 milioni di galline, 18 sono tenute in gabbie ormai illegali, e 11 allevate all’aria aperta, di cui circa un milione in allevamenti bio. Cosa aspettiamo a sanare questa situazione?

Lo sanno tutti ormai quali sono le torture cui sono sottoposti questi animali. Per non parlare degli allevamenti industriali dei polli, ancora più crudeli. Io, da quando sono venuta a conoscenza di certe atrocità, il pollo non lo mangio più. Mentre le uova sono vent’anni che le compro da una vecchina che produce uova in un cortile dove la galline razzolano liberamente, insieme ai gatti, a qualche oca e al cane da guardia. A parte che sono mille volte più buone, ma far crescere “industrialmente” creature animate mi sembra una delle peggiori aberrazioni del sistema agroalimentare. Galline, mettetevi in fuga!!!

Chef a confronto

All’ Accademia del Gusto di Bergamo, sempre attiva nel proporre iniziative di valorizzazione del patrimonio della nostra ristorazione, gli chef stanno affilando i mestoli per prepararsi a partecipare al Bocuse d’Or, storico contest internazionale di cucina, che però non ha un equivalente in Italia.
Per sapere invece cosa bolle in pentola nella haute cuisine italiana, l’appuntamento è quello milanese del prossimo fine settimana con l'ottavo Congresso di Identità Golose, da domenica 5 a martedì 7 febbraio, di Paolo Marchi. Due le novità di quest’anno: le cene a prezzo fisso dei Ristoranti del Fuori Congresso e l’intervento di un nutrito gruppo blogger, tutte donne, ad eccezione di Gianluca Biscalchin, che presenteranno e intervisteranno ciascuna uno dei partecipanti.
Ma il vero inedito pensato da Marchi per la prima volta quest’anno, in sinergia con il Merano Wine Festival, è il Milano Food&Wine Festival, da sabato 4 a lunedì 6 febbraio, una vetrina non solo di cibo (e non solo per gli addetti ai lavori), che presenterà una selezione dell’eccellente produzione vitivinicola italiana, con la partecipazione di 100 aziende, per 300 etichette in degustazione al costo di 30 euro. E gli chef cucineranno dal vivo per il pubblico.

lunedì 23 gennaio 2012

Non la solita zuppa

La minestra, per secoli cibo contadino e povero (nei romanzi di Dostojievski c’è sempre odore di zuppa di cavolo che bolle da qualche parte), è invece una grande conquista della cucina italiana e internazionale (in Giappone mangiano ottime zuppe di miso e mitica è la zuppa di cipolle francese, per citare solo due delle grandi cucine del mondo).
Corroboranti e nutrienti, sono il cibo ideale dei mesi invernali, ma richiedono tempo e pazienza. E anche ingredienti selezionati, come i legumi, ma solo i migliori, e i cereali. Spesso implicano anche una certa competenza in cucina, come la conoscenza dei tempi di messa a bagno, che non sono gli stessi per tutti i tipi di legumi, e di cottura degli stessi (operazioni per le quali si ha sempre meno tempo).   
Il ricettario della Cucina triestina, una cucina influenzata da tradizioni austriache, venete e friulane, pubblicato negli anni Venti, nel solo capitolo delle minestre invernali ne elenca almeno una cinquantina. Poi ci sono le minestre estive, i brodi e le zuppe. Ecco tre ricette tipiche di questa città, rielaborate in chiave moderna dalla mia mamma.
Minestra di riso e piselli spezzati.
Soffritto, da aggiungere a fine cottura, con cipolla, olio e pancetta affumicata. Cuocere 250 g di piselli fino a ottenerne una crema. Aggiungere sale e pepe qb e cuocervi dentro il riso.
Orzo e patate.
Soffritto come sopra e sale e pepe qb.  Mettere in pentola 3 o 4 patate a tocchetti, aggiungere acqua calda e 150 g di orzo perlato. Bollire lentamente per 1 ora.
Jota.
250 g fagioli (prima ammollati nell’acqua) , 250 g patate, 1 scatola di cavoli cappucci acidi (crauti). Soffritto come sopra. Cuocere prima i fagioli, a cottura ultimata aggiungere le patate e fare cuocere anch’esse. Passare nel passaverdure fagioli e patate cotte e per ultimo aggiungere  i crauti cotti a parte coperti d’acqua finché questa non sia del tutto asciugata. Aggiustare di sale e pepe. Alcuni nel soffritto aggiungono della farina per rendere la minestra più densa, e sempre con questo scopo, anche una manciata di farina gialla alla fine.

lunedì 16 gennaio 2012

In ricordo di Franco Della Peruta

Ho appreso ieri dai giornali la notizia della morte, a 87 anni, del mio professore di Storia del Risorgimento, con il quale ho scritto la tesi sul movimento operaio dei primi del Novecento, Franco Della Peruta. Come hanno ricordato i giornali, era uno dei maggiori storici italiani, che fu direttore o condirettore di importanti riviste come "Movimento operaio", "Studi storici", "Storia in Lombardia". E che nel dibattito sul carattere popolare o elitario del Risorgimento sostenne la prima tesi: il Risorgimento come movimento di massa, ma di masse urbane (vedi le Cinque Giornate di Milano), in un'Italia in cui la maggioranza della popolazione abitava nelle campagne. A me ha insegnato la passione per la storia, non come accumulo di nozioni, ma come chiave per interpretare i fatti, ancor più di scienze umane considerate più "scientifiche" come la sociologia. Da lui ho imparato che è nel contesto storico che si trovano le spiegazioni. Un contesto storico che in quel bellissimo periodo dell'Università Statale di Milano - quando vi insegnavano tra gli altri Enrico Decleva (storia contemporanea), Marino Berengo (storico dell'età moderna), Lucio Gambi (geografo umano), Ludovico Geymonat (filosofo della scienza), Mario Dal Prà (storico della filosofia), Cesare Musatti (il padre della psicanalisi in Italia), per un periodo Carlo Salinari (storico della letteratura) -  mi insegnò a inquadrare, da buon marxista e mazziniano (di questi tempi in pratica un marziano ;-) ), anche secondo le categorie dell'economia (e difatti durante il mio corso di laurea i suoi assistenti Duccio Bigazzi e Roberto Romano organizzarono un seminario di storia del capitalismo e dell'industrializzazione in Italia in collaborazione con l'Università Bocconi). 
Ma la sua morte mi è dispiaciuta soprattutto per la sua grande carica umana e simpatia. So di non essere originale, ma di lui consiglio di leggere "I democratici e la rivoluzione italiana", Feltrinelli e ora Franco Angeli. I giovani, ma non solo, avrebbero molto da imparare.

venerdì 6 gennaio 2012

"Willy Wonka" tra poco a Torino

Durante queste vacanze di Natale, mi è capitato di assistere su un canale digitale della Rai ad un documentario molto interessante sulla nascita e sulla diffusione del cioccolato, dal procedimento per fabbricarlo scoperto dall’olandese Van Houten nell’Ottocento all’invenzione della tavoletta. Il cibo degli dei, così come alcuni lo chiamano per la sua tradizione sciamanica presso i Maya, dal Gianduiotto made in Italy a quello internazionale, sarà oggetto di incontri, assaggi, degustazioni e premiazioni a Torino dal 2 all’11 marzo nel corso di Cioccolatò. Cioccolatò è una manifestazione che si tiene da molto tempo ed è organizzata quest’anno dal Gruppo Apice, con il patrocinio della Città di Torino, della Provincia di Torino, della Regione Piemonte, di UnionCamere Piemonte e della Camera di Commercio I.A.A. di Torino, oltre che delle principali associazioni di categoria, quali Ascom, Confesercenti, Cna, Confartigianato e Casartigiani. Oggi si sente molto parlare di cioccolato e il suo mercato si è esteso anche ad ambiti di nicchia e di eccellenza come quelli del commercio equo e solidale. E se ne parla anche in relazione a sue proprietà benefiche come quella di stimolare l’ormone della serotonina che scatena il buonumore. Per questo sarebbe un efficace antidepressivo e indurrebbe anche ad un certa dipendenza. Si sa per certo che coloro a cui piace molto non sanno farne a meno e quando si tratta di gratificarsi ricorrono al suo consumo. Il documentario che ho visto però si chiedeva, da quando agli inizi del Novecento la produzione del cioccolato è diventata di tipo industriale, quanto questo bisogno non sia piuttosto indotto dal mercato. Anche perché molti prodotti in vendita negli Usa, per esempio, non sono vere tavolette di cioccolato, ma dolci ricoperti di cioccolato. Gli americani però non vogliono discutere dei loro gusti. Mentre noi europei siamo forse eccessivi sul versante opposto. Nel docufilm c’era infatti un’assaggiatrice nordeuropea di cioccolato che diceva di sentire nella tavoletta che stava degustando sentori di campagna, di fieno, odore di cavallo e persino l’odore del suo sudore, concludendo di stare provando un cioccolato molto intrigante  (sic). A Bruxelles periodicamente piuttosto si presenta l’ordine del giorno di come regolarizzare la sua etichettatura relativamente a quando sia necessario e opportuno apporre la dicitura “cioccolato puro” che sarebbe quello con solo burro di cacao.