mercoledì 28 novembre 2012

Il Bon Ton a tavola

Il saper stare a tavola è da sempre la misura della buona educazione di una persona, a partire dal Galateo di Monsignor della Casa, alla rubrica delle buone maniere in società dell’Enciclopedia della Donna pubblicata a fascicoli negli anni Sessanta da Fabbri Editori, ai vari manualetti di bon ton stile Lina Sotis.
Adesso è arrivato in libreria il “Bon Ton a Tavola” di Roberta Schira, scrittrice e collaboratrice del Corriere della Sera, che lo presenta stasera al Marchesino alla Scala a Milano (e quale posto migliore del ristorante del padre della nuova cucina italiana, Gualtiero Marchesi, per dettare nuove regole di comportamento in tema?).
Oggi per esempio, mangiare la pizza, e non solo il pollo, cosa da sempre consentita, con le mani, non è più considerata maleducazione, a patto però di non sbrodolarsi. Norme di buon senso come queste, codificate da più parti, stanno modificando le nostre abitudini. E bacchettare la persona con cui si va a cena al ristorante per aver usato cattive maniere ormai superate, è meno importante, come pensa la Schira, dell’essere invece in grado di capire, dai modi di stare a tavola, cosa pensa questa persona e come è fatta.
Con lo psicogalateo dell’autrice si impara tra le altre cose a sapere, mentre siamo a tavola, se l’interlocutore cambierà idea su un argomento di discussione, solo guardando come muove i piedi (e il che non è tanto facile, visto che i piedi stanno sotto il tavolo); oppure, e questa è un’ironia molto azzeccata, se ci si può fidare di un uomo che ci mette mezzora per scegliere il piatto da ordinare e poi lo divora in meno di cinque minuti. O, altra osservazione simpatica, se il soggetto che compulsa ossessivamente la carta dei vini lo fa perché è un vero intenditore o semplicemente perché è un tipo noioso e barboso.
Insomma, non l’ho ancora letto tutto, ma il libro promette bene, a patto di essere interessati da sempre, come me, alle regole del buon vivere e desiderosi di interpretare il comportamento altrui, un po’ come fanno gli psicanalisti. Anche perché, raggiungere più o meno i 50 anni e non saper inquadrare in breve tempo la persona che si ha davanti, anche la prima volta che la si incontra, significa veramente aver vissuto invano. 

giovedì 15 novembre 2012

Artigianalità della produzione alimentare: ma cos' è veramente?

Riporto qui intergralmente il testo dell'annuncio del Convegno Ufficiale, del 3 dicembre, della prossima Mostra del Gelato Artigianale (la Mig di Longarone Fiere, Belluno)  perché a mio avviso spiega molto bene  la questione, centrale nell'agroalimentare oggi, di cosa si debba intendere per produzione artigianale e trasformazione industriale.

“OGNI GELATERIA ARTIGIANA È UNICA E IRRIPETIBILE: MA ALLORA, DOVE PORTANO LE CATENE?”


La scelta del tema è stata stimolata dalle diverse preoccupazioni e prese di posizione emerse, anche recentemente, da parte di molti gelatieri artigiani nei riguardi del fenomeno delle “catene” che da qualche tempo stanno sempre più occupando luoghi chiave nei centri delle grandi città. Sostenute da progetti imprenditoriali molto efficaci, le catene di gelato annoverano ormai diversi “marchi” i quali hanno tutti in comune un modo di proporsi e di promuovere l’attività che richiamano, sia pur senza dichiararlo esplicitamente, all’artigianalità.

E’ questo l’aspetto che preoccupa maggiormente i gelatieri artigiani i quali, se da un lato erano ormai abituati a combattere con argomentazioni ben precise, l’ice cream industriale di fronte ai nuovi competitor, che stanno rodendo lo stesso loro mercato e con le medesime argomentazioni, si trovano in evidente e concreta difficoltà.

Con tutto ciò non si vuole assolutamente criticare i promotori delle catene, anzi ci sarebbe piuttosto da complimentarsi per la loro intuizione e la capacità che hanno avuto di inserirsi in un settore, già abbastanza saturo, ed emergere con indubbio successo.

Ma i gelatieri artigiani, allora, cosa devono fare per competere efficacemente con queste new entry? Dove sta il problema? È una questione di prodotto o soltanto di comunicazione e di saper valorizzare il nostro gelato?

Tentare di dare una risposta a tutto ciò non è certamente semplice ma è l’obiettivo, indubbiamente stimolante, che il convegno si propone.