Dici “vino” e pensi alla Francia, o alla
California, che nel settore fattura 7 mld di dollari, mentre da noi vale 2,5
mld l’anno e si aspettano dal governo misure atte a potenziarlo. Perché l’Italia,
con la sua terra di antiche tradizioni gastronomiche, potrebbe avvalersi di una
sinergia importante tra prodotti del territorio ed enologia per attrarre sempre
più turisti offrendo insieme il vino. Anche perché non è più il tempo dello
scandalo del metanolo, ma di produzioni sempre più raffinate e di qualità. E'
così che quest’anno Cantine Aperte chiude la sua 25° edizione
con numeri da record - trainata da una grande presenza di giovani - che ha
visto impegnate 800 aziende vitivinicole di tutta Italia. Successo non solo nei
numeri, ma anche nei contenuti, con le cantine del Movimento Turismo del Vino
che hanno rafforzato il loro impegno per contribuire alla crescita della
cultura del vino, in campo e nei luoghi di vinificazione. Sono circa 2mila le iniziative speciali di Cantine Aperte pensate in
tutte le aree enologiche d’Italia e già quasi 50mila bicchieri ‘solidali’
distribuiti. Partita il 27 maggio, ad eccezione di Toscana, Lombardia, Puglia,
Basilicata, Calabria, Molise, Liguria e Valle D’Aosta, dove la festa si è
svolta solo per la giornata di domenica 28 maggio, la
kermesse ha richiamato circa 1,1 milioni di enoturisti – il 10% in più rispetto
al 2016 -; boom di presenze nelle principali regioni, a partire da Friuli
Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, e Puglia. Grande affluenza anche nelle aree
che hanno subito il terremoto, con l’Abruzzo, il Lazio, le Marche e l’Umbria
che assieme confermano il valore e la forza aggregativa che ruota intorno
all'enoturismo di qualità.
"diario sul cibo per chi non crede che il cibo sia cultura ma nutrimento e garantirlo a tutti sarebbe già un bel passo avanti...esistono 'il pane e le rose'…assicuriamo il pane a tutti perché tutti possano avere anche le rose…"
lunedì 29 maggio 2017
lunedì 22 maggio 2017
Domanda stabile, prezzi in salita: forma malefica di inflazione
La classe media è sparita e
con essa buona parte dei consumi. La domanda così non sale, ma i prezzi invece
sì. Anche per il cambiamento climatico che rende meno disponibili e a costi più
cari merci un tempo maggiormente reperibili. “Una forma malefica di inflazione
– commenta il presidente del Codacons Marco Maria Donzelli. E così ci troviamo
di fronte ad un enorme divario tra quanto possono spendere le classi povere e
quello che spendono i ricchi. Milano è la terza città più cara d’Italia dopo
Bolzano e Venezia. I ceti meno agiati spendono in cibo, alcol e sigarette. I privilegiati invece investono
su casa, mobilio, cultura e istruzione.
Tornare alla tradizione
Piccolo è ancora bello. La ripresa
della “cultura hipster”, come scrive un librettino dell’Ikea, con la
costruzione deii propri arnesi a mano e vivendo in modo autosufficiente, contagia
anche le lavorazioni artigianali nella gastronomia. Sempre più si sente il
bisogno, in questi tempi di globalizzazione e di finanziarizzazione spinta
dell’economia, di investire nell’artigianato a livello imprenditoriale anche
nel lavoro dei campi. Dal settore tessile a quello del ferro e del vetro
soffiato, all’allevamento degli animali, ai piatti cucinati con le erbe e sì,
anche i fiori (purché commestibili), del proprio orto. Riscoprendo così la
libertà e la qualità che possono offrire le zone rurali. Piccoli negozi,
mercati ortofrutticoli, ristoranti vegetariani, sono tra i capostipiti di
questa tendenza che si avvale del lavoro dell’artigiano, rinunciando in parte ai
prodotti preconfezionati e coltivando una nuova passione. Quella del fai da te
in campagna e in cucina.
La ricchezza delle nazioni: vendere e comprare
Quando apparve la Ricchezza
delle Nazioni di Adam Smith, ai primi del Novecento, le contrade prese in
considerazione per elaborare la sua teoria economica erano l’Olanda e la Gran
Bretagna. E vi si passavano in rassegna tutti i mestieri necessari a vestire i
contadini, trasportare, produrre e vendere le proprie derrate alimentari allora
disponibili. L’edizione della Ricchezza delle Nazioni in mio possesso ha
l’introduzione di Valentino Parlato, lo storico e giornalista comunista,
fondatore del Manifesto, da poco scomparso. Ed è di Editori Riuniti, un editore
molto attento ai temi politici e sociali. Così mi sono ritrovata tra le mani,
dopo circa 30 anni, un librettino con le, poche, pagine ingiallite che però ha
molto detto sulla società capitalistica che stava nascendo. In opposizione alla
teoria di Marx ed Engels, suoi contemporanei, Adam Smith, come Ricardo,
teorizzava il liberalismo in economia e il liberismo in politica. Cosette di
non poco conto se si pensa che hanno influenzato tutto il Novecento. Per
liberalismo in economia si intende che la ricchezza derivi dallo scambio di
merci a prezzi definiti dall’incontrarsi della domanda e dell’offerta. Per
liberismo in politica forme di democrazia elettiva a quel tempo ancora basata
sul censo. Ma che poi si estenderà anche alle classi più umili e infine alle
donne. La cosa che più mi è rimasta in mente di questa interessante lettura è
che il macellaio, o simili, non vendono le proprie merci per fare del bene al
popolo, ma per guadagnarci. E in questo guadagno sta la base della società. Poi
certo l’idea si è estesa alle macchine e alla finanza (ricordate quanto valeva
il succo d’arancia alla Borsa di New York nell’esilarante film Una poltrona per
due con Jamie Le Curtis ed Eddie Murphie?). Ecco adesso la teoria di Smith è
ben descritta da una barzelletta kletzemer di Moni Ovadia. Due ebrei si
incontrano e si accordano per la vendita di due scatolette di tonno. Ma al
compratore non sfugge che la data di scadenza è superata. “E allora? – risponde
l’altro – queste non sono per mangiare ma per vendere e comprare, vendere e
comprare.”
I vantaggi della dieta mediterranea
Per dimagrire e rimanere in
forma, i medici sconsigliano le diete iperproteiche (solo carne) che
sottoporrebbero a rischio di infarto e altre malattie correlate. Preferibile
invece la dieta mediterranea, ortofrutta, cereali e anche, in misura minore,
semi come noci, arachidi ecc. Quindi l’alimentazione migliore si comporrebbe di
cinque pasti al giorno in cui assumere anche caffelatte (al mattino) con fette
biscottate integrali o biscotti secchi; un pranzo costituito di un solo primo
piatto (pasta al pomodoro o risotto di verdure); un intervallo a metà
pomeriggio con la frutta anche sotto forma di frullato e una cena leggera a
base di carne bianca (pollo, tacchino) e verdure crude o cotte. Anche mangiare
un po’ di pane va bene, ma con moderazione. Semplice, no? Ma in tanti non lo sanno.
Plastica, riciclarla o farne a meno?
Al Salone del libro di
Torino di maggio è stato presente anche
il Conai, Consorzio Nazionale imballaggi che festeggia con un bilancio positivo
i 20 anni di attività. Attraverso il riciclo dei rifiuti da imballaggio è stata
evitata l’apertura di 130 discariche e l’emissione di circa 40 mln di
tonnellate di CO2. Ma c’è davvero da essere entusiasti? Con la plastica
riciclata ad esempio si possono costruire sedie e tavolini da esterno e
quant’altro ancora. Ma questi oggetti che vita avranno? Anch’essi dovranno
essere un giorno recuperati e riciclati. Il problema è alla fonte, non
recuperare quanto piuttosto non produrre tanti più imballaggi di cui ci sia
stretto bisogno. Negli anni Cinquanta quando si andava a fare la spesa ortaggi,
m anche pesce e carne venivano venduti in pezzi di carta. Carta che poi serviva
a raccogliere la spazzatura per buttarla. Poi con l’avvento dei supermercati,
che avveniva negli anni Sessanta, a poco a poco ogni derrata alimentare ebbe il
suo involucro, di plastica o di cartone e di vetro. Infine si concluse con il
definire il packaging (quanto sono più attraenti le cose se chiamate in
inglese) come un veicolo di informazioni e uno strumento di attrattività più
necessario e importante del contenuto. Con tutto un filosofeggiare sulle
modalità di attuarlo e di renderlo un veicolo importante della vendita. Certo,
eliminare adesso il packaging e tornare alle vecchie modalità di
impacchettamento significherebbe mandare a spasso un sacco di lavoratori
impiegati in questo indotto. Ma stando alla quantità di plastica che si trova
nei nostri mari e nella pancia dei pesci una soluzione andrebbe trovata.
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