Al Salone del libro di
Torino di maggio è stato presente anche
il Conai, Consorzio Nazionale imballaggi che festeggia con un bilancio positivo
i 20 anni di attività. Attraverso il riciclo dei rifiuti da imballaggio è stata
evitata l’apertura di 130 discariche e l’emissione di circa 40 mln di
tonnellate di CO2. Ma c’è davvero da essere entusiasti? Con la plastica
riciclata ad esempio si possono costruire sedie e tavolini da esterno e
quant’altro ancora. Ma questi oggetti che vita avranno? Anch’essi dovranno
essere un giorno recuperati e riciclati. Il problema è alla fonte, non
recuperare quanto piuttosto non produrre tanti più imballaggi di cui ci sia
stretto bisogno. Negli anni Cinquanta quando si andava a fare la spesa ortaggi,
m anche pesce e carne venivano venduti in pezzi di carta. Carta che poi serviva
a raccogliere la spazzatura per buttarla. Poi con l’avvento dei supermercati,
che avveniva negli anni Sessanta, a poco a poco ogni derrata alimentare ebbe il
suo involucro, di plastica o di cartone e di vetro. Infine si concluse con il
definire il packaging (quanto sono più attraenti le cose se chiamate in
inglese) come un veicolo di informazioni e uno strumento di attrattività più
necessario e importante del contenuto. Con tutto un filosofeggiare sulle
modalità di attuarlo e di renderlo un veicolo importante della vendita. Certo,
eliminare adesso il packaging e tornare alle vecchie modalità di
impacchettamento significherebbe mandare a spasso un sacco di lavoratori
impiegati in questo indotto. Ma stando alla quantità di plastica che si trova
nei nostri mari e nella pancia dei pesci una soluzione andrebbe trovata.
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