Quando apparve la Ricchezza
delle Nazioni di Adam Smith, ai primi del Novecento, le contrade prese in
considerazione per elaborare la sua teoria economica erano l’Olanda e la Gran
Bretagna. E vi si passavano in rassegna tutti i mestieri necessari a vestire i
contadini, trasportare, produrre e vendere le proprie derrate alimentari allora
disponibili. L’edizione della Ricchezza delle Nazioni in mio possesso ha
l’introduzione di Valentino Parlato, lo storico e giornalista comunista,
fondatore del Manifesto, da poco scomparso. Ed è di Editori Riuniti, un editore
molto attento ai temi politici e sociali. Così mi sono ritrovata tra le mani,
dopo circa 30 anni, un librettino con le, poche, pagine ingiallite che però ha
molto detto sulla società capitalistica che stava nascendo. In opposizione alla
teoria di Marx ed Engels, suoi contemporanei, Adam Smith, come Ricardo,
teorizzava il liberalismo in economia e il liberismo in politica. Cosette di
non poco conto se si pensa che hanno influenzato tutto il Novecento. Per
liberalismo in economia si intende che la ricchezza derivi dallo scambio di
merci a prezzi definiti dall’incontrarsi della domanda e dell’offerta. Per
liberismo in politica forme di democrazia elettiva a quel tempo ancora basata
sul censo. Ma che poi si estenderà anche alle classi più umili e infine alle
donne. La cosa che più mi è rimasta in mente di questa interessante lettura è
che il macellaio, o simili, non vendono le proprie merci per fare del bene al
popolo, ma per guadagnarci. E in questo guadagno sta la base della società. Poi
certo l’idea si è estesa alle macchine e alla finanza (ricordate quanto valeva
il succo d’arancia alla Borsa di New York nell’esilarante film Una poltrona per
due con Jamie Le Curtis ed Eddie Murphie?). Ecco adesso la teoria di Smith è
ben descritta da una barzelletta kletzemer di Moni Ovadia. Due ebrei si
incontrano e si accordano per la vendita di due scatolette di tonno. Ma al
compratore non sfugge che la data di scadenza è superata. “E allora? – risponde
l’altro – queste non sono per mangiare ma per vendere e comprare, vendere e
comprare.”
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