La
tazzina di caffè espresso nella qualità dei chicchi dai quali viene ricavata ma
anche nella sua espressione di ritualità sociale, in un Paese in cui, come l’Italia,
svolge il ruolo di elemento principale della prima colazione e di una pausa al
bar. Questa sarà protagonista anche dei
lavori preparatori di Expo 2015, l’esposizione internazionale sul tema dell’alimentazione
tra due anni a Milano nel sito di Rho-Pero, con i seminari e i corsi di lunedì 20 maggio organizzati da illycaffè per
la quarta edizione di Tuttofood, la fiera dell’alimentare rivolta agli
operatori dell’horeca (hotel, restaurant e cafè), di cui l’azienda triestina
quest’anno è partner ufficiale. Da bevanda calda ricavata dai semi di una
pianta originaria dell’Africa, in Etiopia, e la cui coltivazione si è estesa
successivamente nei Paesi dell’America Latina e della Cina, che ne sono oggi i
maggiori fornitori, a prodotto di successo mondiale - nella versione tutta italica dell’espresso, di
cui sono online adesso una serie di racconti per immagini con video e post cura di Wega, macchine per
caffè, di Magazzini del Caffè, sul sito www.magazzinidelcaffe.com, e dell’Istituto Nazionale
Espresso Italiano, www.espressoitaliano.org - in tempi
di globalizzazione il suo business si realizza anche e soprattutto a base
di esportazioni il cui terreno è reso fertile dalla diffusione internazionale dei
coffee shop monomarca a insegna aziendale. Di cui non mancano certo da tempo esempi lungo l’intera
Penisola, realizzati da tutti i maggiori brand del settore. Illycaffè ne ha appena inaugurato
uno nuovo a Roma, con la collaborazione di A. R. P., società di progetti nel
settore del luxury retail, il primo aperto nella capitale, a due passi da
Piazza di Spagna, il cui punto forte sarà, come ovunque nei suoi store, il blend illy 100% arabica e che
segue la fortunata e recente esperienza di un altro format dell’impresa, le
boutique, o concept store, di Trieste e di Brescia dove trovare tutte le
specialità del Gruppo (oltre a illycaffè, cioccolato Domori, vino Mastrojanni, thè
Damman Frères, confetture Agrimontana).
"diario sul cibo per chi non crede che il cibo sia cultura ma nutrimento e garantirlo a tutti sarebbe già un bel passo avanti...esistono 'il pane e le rose'…assicuriamo il pane a tutti perché tutti possano avere anche le rose…"
venerdì 17 maggio 2013
giovedì 16 maggio 2013
Fao e Slow Food insieme per l' agricoltura familiare
I programmi della Fao, contro la fame nel mondo, sono sostenuti
in parte dal governo italiano. Anche Slow Food, l’associazione no profit torinese di Carlo
Petrini dedita alla salvaguardia delle produzioni locali in 150 Paesi del mondo, vi partecipa, e un accordo siglato il 16 maggio di quest'anno a Roma tra le due organizzazioni ne ha sancito la collaborazione a favore dell'agricoltura "familiare". Dalla Katta Pasta di Timbuktu, apprezzata anche nel Mali, all'olio di palma della Guinea Bisseau, alla noce di kola della Sierra Leone al cous cous senegalese, altrettanti Presìdi Slow Food, i prodotti dell’agricoltura e il cibo che se ne ricava
nei Paesi più poveri, e qui siamo nell'Africa Occidentale, sono frutto del lavoro di piccoli coltivatori, la cui dimensione aziendale coincide spesso appunto solo con quella familiare. Produzioni al limite dell'autoconsumo a favore dello sviluppo delle quali, anche per far conoscere un diverso modo di alimentarsi in un mondo globalizzato, le
due organizzazioni lanceranno campagne si sensibilizzazione con due obiettivi. Assicurare
più cibo ai produttori locali, le loro famiglie e le loro comunità, e aiutarli
a commercializzare piccole eccedenze per sviluppare l’economia del territorio. Nel
progetto, anche il rafforzamento delle reti di produzione e vendita, stimolando
la formazione di gruppi di produttori e cooperative. In comune, la filosofia di
fondo è quella della salvaguardia della biodiversità, puntando alla
valorizzazione di singoli prodotti locali, e dei Presìdi Slow Food. Il primo
importante appuntamento per vedere i primi frutti di questa collaborazione, sarà l’ Anno Internazionale dell’Agricoltura
Familiare, nel 2014. La data, stabilita dall'Onu, segue quella di quest'anno, 2013, che è stato dichiarato l’ anno
internazionale della quinoa, una pianta erbacea della famiglia degli spinaci di cui sono già partite coltivazioni pilota in tutto
il mondo e che potrebbe finalmente sconfiggere la fame grazie ai suoi
semi molto simili ai ceci, pur non essendo propriamente un cereale, dall'elevato potere nutritivo. Di origini andine, si adatta bene a temperature
e climi differenti, resistendo alla siccità sei volte più del frumento. «Un fatto non da poco – ha sottolineato il direttore
generale della Fao Graziano da Silva – in tempi di forti cambiamenti climatici
e con la tendenza alla riduzione di risorse idriche nel mondo». Mentre Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, ha posto
l’accento sulla questione del colonialismo gastronomico: “In questa alleanza con la Fao
– ha detto - continueremo nel nostro lavoro di catalogazione e valorizzazione
dei prodotti e ricette locali e vedrete che dai cuochi africani arriveranno
belle sorprese nei prossimi decenni».
mercoledì 1 maggio 2013
Primo maggio e l'emergenza lavoro, anche nei settori favoriti come la ristorazione
Oggi
è il primo maggio, festa dei lavoratori, con manifestazioni in corso in tutta
Italia e che a Milano si celebra con il corteo dei sindacati unitari, da Porta
Venezia a piazza Della Scala (quello nazionale ha luogo a Perugia), e la Mayday
Parade dei precari, con concentramento in Ticinese, piazza XXIV Maggio, e
diretta quest’anno a Palazzo Lombardia. Il lavoro, su cui si fonda la
Repubblica, è al centro delle misure sui cui si sta impegnando il neonato
governo Letta, che ha già promesso sgravi fiscali sui redditi da lavoro stesso
e sulle assunzioni dei giovani e delle donne. Nonché garanzie di un welfare per
gli esodati, promettendo addirittura una sorta di reddito minimo garantito per
chi il lavoro non ce l’ha o non ce l’ha più. Dove si andranno a reperire i
fondi per attuare questi provvedimenti, però, non è stato chiarito. Come non si
fa abbastanza chiarezza su cosa fare per mettere un argine al precariato. Che è nato quando una
generazione, la mia, quella dei baby boomers, è entrata nel mondo del lavoro
all’epoca dei primi contratti di formazione – lavoro, negli anni Ottanta, un
mezzo per assumere personale a tempo determinato, e quindi di poterlo licenziare senza causa, e con minori oneri fiscali. Da
qui a tenere fuori anche le generazioni successive dal lavoro garantito (il
posto fisso), il passo è stato breve, inaugurando la triste stagione della
flessibilità che ha oggi come epilogo l’esodo dall’attività lavorativa senza la
pensione, ma anche senza nessuna rete di assistenza sociale che si sta cercando
adesso di garantire ai soli lavoratori assunti a tempo indeterminato e poi licenziati intorno ai cinquant’anni. Se perdere il posto non
era già accaduto prima, e senza nessuna possibilità di tornare a essere
occupati, come per le donne che sceglievano il part time al fine di accudire i
loro bambini e a figli cresciuti sono rimaste definitivamente fuori dal mondo
del lavoro. I precari poi non sono favoriti nemmeno dagli annunciati sgravi delle tasse
sul reddito da lavoro, perché sono lavoratori autonomi o partite Iva, soggetti
a quell’ Irpef che da anni, se non da decenni, si promette di riformulare in
modo maggiormente progressivo (meno tasse sotto una certa soglia reddito e
maggiore gradualità a salire), ma non se ne è mai fatto nulla. Quando poi
queste persone, in età matura, perdono il lavoro, non esiste più nessuna
alternativa. Chiaro che se adesso anche gli imprenditori sono i crisi, e molti
di loro oggi partecipano alle manifestazioni dei lavoratori, insieme a cassa integrati,
disoccupati e pensionati, non può che generare ancora più preoccupazione la condizione
dell’occupazione giovanile, con ormai il 37% dei ragazzi tra i 18 e i 25 anni
che non riesce a trovare lavoro, ai quali è stata fatta la sola promessa, già dal
governo Monti, di sconti fiscali a chi li assume e di una riforma
dell’apprendistato, ma che ancora non si è vista realizzare, o non ha dato nessun
esito. Intanto, ogniqualvolta in un settore, come quello per esempio della
ristorazione o del turismo enogastronomico, che sono gli unici per ora in
crescita con ancora molte prospettive di sviluppo, si apre qualche spiraglio,
le chance che si offrono ai giovani, come quelle della ricerca di 6.000
pizzaioli di cui abbiamo già parlato su questo blog, vengono spesso subordinate
agli interessi delle aziende di formazione che offrono corsi che sono in genere
molto costosi, o comunque mai abbastanza trasparenti sui loro effettivi oneri
per i partecipanti. E che durano anche una sola settimana, come se questa potesse
sostituire gli anni di esperienza che ci vogliono a “rubare” il mestiere
lavorando pazientemente fianco a fianco a chi lo sa già fare, magari per molto
tempo, come è sempre stato fin quando si assumeva regolarmente. Il lavoro potrà
essere anche stato il valore fondante della democrazia in questo Paese
all’epoca dei padri costituenti, certo è che della sua dignità e della sua
centralità nella costruzione delle esistenze individuali e collettive, in
questi ultimi quattro decenni se ne è proprio persa la traccia, se non nella
retorica vuota di una casta che si affanna a difenderlo più per auto garantirsi
il diritto a governare ancora, anche tutta insieme, destra e sinistra, che per difendere
l’interesse dei lavoratori. Primo maggio: per continuare a crederci oggi ci vuole
davvero tanto coraggio.
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