Da quando negli ultimi anni
la parola etica è diventata universale e significa soprattutto non uccidere gli
animali, intere filiere agroalimentari sono cambiate. Nei Paesi poveri è
diventato più conveniente mangiare hamburger ed esportare i propri prodotti
vegetali e perciò “etici”. Per molte persone definirsi persone con etica
significa mangiare vegano e hanno pure creato un Parma Etica Festival, tre
giorni di talk, workshop e seminari sull’etica vegan e vegetariana. Altro
esempio di questa tendenza è la bibbia della comunità vegana italiana “La
cucina etica”, con lo scopo di fornire ricette legate allo sviluppo
sostenibile. A proposito del quale sarà utile ricordare come molti vegetali
quali anacardi, mandorle, avocado, quinoa e prodotti come soia e tofu
richiedono enorme impiego di acqua per essere coltivati e il sacrificio dei
contadini del Sud del mondo. Oltre alla scomparsa di riserve idriche e campi
grandi quanto Germania e Italia. Quello che dai vegani viene chiamato cruelty
free è anche la raccolta degli anacardi nel Sud Vietnam a prezzi di immensi
sacrifici dei contadini pagati pochissimo. Gli anacardi vengono poi processati
in India con metodi di produzione più disumani di quelli della Apple. C’è poi
tutto il capitolo della deforestazione a causa delle colture intensive come
quelle della soia. E anche se questa serve perlopiù da mangime per gli animali,
“sostituire carne e latte con analoghi alimenti raffinati come il tofu potrebbe
aumentare la quantità di terreno arato necessario per il fabbisogno alimentare”.
Una vasta quantità di alimenti consumati dai vegani richiede una lunga filiera
di lavorazione poco remunerata. Una cucina interamente vegana, come quella a km
0, praticamente non esistono.
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