Ho sempre conosciuto persone
che temevano il complotto di qualche nemico occulto: gli ebrei per il nonno, i
massoni per i gesuiti, i gesuiti per mio padre garibaldino, i carbonari per i
re di mezza Europa, il re fomentato dai preti per i miei compagni mazziniani,
gli illuminati di Baviera per la polizia di mezzo mondo, e via chissà quanta
gente ancora a questo mondo convinta di essere perseguitata da una
cospirazione. Ecco qua una forma da riempire a piacere, a ciascuno il suo
complotto. Così Umberto Eco in uno dei suoi ultimi lavori pubblicati postumi.
Da parte sua Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida, è convinto che oggi abbiamo invertito la
rotta e navighiamo all’indietro, come spiega in “Retrotopia” per i tipi di
tempinuovi, Editori Laterza, 2017. Il
futuro è finito alla gogna e il passato è stato spostato tra i crediti,
rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora
screditate. Sono gli anni della retrotopia, cioè un’utopia rivolta al passato
in cui non c’è più spazio per le “magnifiche sorti e progressive”. Inscrivere
la violenza in quel canovaccio offre come beneficio aggiuntivo – o forse
principale –la possibilità di raccogliere reclute negli ambienti che resistono
o addirittura si oppongono ai casi di emulazione della violenza autotelica,
cioè fine in se stessa. Gli stati nazione sono stati una scelta operata
dall’uomo a partire da una situazione in cui non c’è scelta. Finché l’Europa
era l’unico Continente “moderno” di tutto il pianeta, le persone “in esubero”
venivano costantemente scaricate in territori “pre moderni”, e riconvertite in
coloni, soldati o personale dell’amministrazione coloniale. Da metà del
Novecento il flusso migratorio ha invertito direzione: da centrifugo si è fatto
centripeto rispetto all’Europa. I migranti dell’era post coloniale hanno
cambiato e stanno tutt’ora cambiando le proprie strategie di sopravvivenza
visto che quelle tradizionali sono state distrutte dalla modernizzazione trionfante
promossa dai loro ex colonizzatori e puntano a fare il nido negli interstizi
delle economia di questi ultimi. La guerra alla povertà andava lanciata dai
politici con mezzi politici. Al di là della “destra” e della “sinistra”. Nella
società “solida” il capitale aveva bisogno del lavoro, ma anche il lavoro aveva
bisogno del capitale. Questo a tutti e tre gli attori “capitale, lavoro, stato”
sembrava un compromesso ragionevole. D’altra parte Winston Churchill aveva
sentenziato: “La democrazia è il miglior sistema politico, se si escludono
tutti gli altri.” Ma oggi, con la ricchezza in mano a pochissimi che governano
i mercati finanziari (ricordate il film “Una poltrona per due”?”), e tutti gli
altri trattati alla stregua solo di consumatori (qualcuno li ha pure definiti
“consumattori”, come fossero i protagonisti dell’atto dell’acquistare e di
tutto quello che gli sta dietro e non invece indotti al consumo per celebrare
le cattedrali moderne: i centri commerciali), la società si è fatta “liquida”.
E i posti di incontro sono i “non luoghi”: centri commerciali, ipermercati,
multisale ecc. “Noi abitanti umani della terra siamo, come mai prima d’ora in
una situazione di aut aut. Possiamo scegliere se prenderci per mano o finire in
una fossa comune.” Conclude Bauman. E davvero in una società dove siamo liberi
solo di consumare e impera il sovranismo, la democrazia è a fine corsa. Sempre
in tema di memoria del Novecento, il secolo breve come qualcuno lo ha chiamato,
è consigliabile leggere un libro di uno storico che riflette sulla sua peggiore
delle tragedie, il nazifascismo. Tony Judt, “L’età dell’oblio. Sulle rimozioni
del ‘900” è un autore inglese. Dal sito che lo recensisce leggiamo: “In un
flusso narrativo ininterrotto Judt fa il punto su quanto accaduto in Europa dal
1945 ad oggi: con troppa sicurezza e poca riflessione ci siamo lasciati alle
spalle il Ventesimo secolo e ci siamo affrettati a liberarci dal suo
bagaglio economico, intellettuale e
istituzionale. Non abbiamo fatto in tempo a lasciarcelo alle spalle, che i suoi
dissidi e suoi dogmi, i suoi ideali e le sue paure stanno già scivolando nelle
tenebre dell’oblio. Non solo non siamo riusciti a imparare granché dal passato
ma ci siamo convinti – nelle previsioni politiche, nelle strategie internazionali,
persino nelle priorità educative – che il passato non ha nulla di interessante
da insegnarci. Sulla base del principio che quello era allora e questo è
adesso, tutto quanto avevamo imparato dal passato non andava ripetuto. Il
nostro – insistiamo – è un mondo nuovo; i rischi e le opportunità che ci offre
non hanno precedenti.” Già, e come la mettiamo con l’America First di Trump e
il nucleare della Corea del Nord? Se vogliamo comprendere il mondo nel quale
viviamo dobbiamo conoscere quello dal quale siamo appena usciti. “Il passato
recente potrebbe accompagnarci ancora per qualche anno. Questo libro è un
tentativo per renderlo più comprensibile.” Dall’Olocausto alla spinosa
questione del “male” nella comprensione del passato europeo, dall’ascesa e declino
dello Stato a quello degli intellettuali del Novecento, Tony Judt stila un
compendio delle cieche illusioni dei nostri anni.
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