Ora che l’agricoltura, con gli
annessi e connessi, o anche “agricultura”, l’enogastronomia, il turismo
gastronomico e il nutrizionismo e la dietetica sono argomenti sempre più
presenti sui quotidiani a stampa, in piena era del web dove pure si parla di
questi argomenti, indicando nei social la via più diretta per interessare i
millennials, ancora non sappiamo se le abitudini alimentari siano veramente frutto
di un’ottimizzazione delle risorse e se questa ottimizzazione sia buona per
tutti. Le abitudini infatti sono cambiate nel tempo, basti pensare ai riti
sacrificali del maiale, all’hamburger del fast food di Ray Kroc, al consumo di
polli allevati in batteria sempre negli Usa per alimentare un’altra insegna di
fast food, alla vacca sacra dell’India e al conseguente maggior consumo di
latte, latticini e pesce, ai mangiatori di insetti del Terzo Mondo (e nella
Storia Naturale di Plinio risulta che anche i Romani mangiavano insetti),
all’ippofagia del Medioevo, all’allevamento di maiali in Mesopotamia. Tutto
questo è raccontato in un volumetto
dell’antropologo Marvin Harris, “Buono da mangiare” con il sottotitolo: “Enigmi
del gusto e consuetudini alimentari” per i tipi di Einaudi, e che già nel 1985 individuava nella fame di carne e nel consumo
di soia, formaggi, vegetali a foglia verde, latte e anche perché no, insetti,
modelli di alimentazione ottimale, anche se ottimale non significa ottimizzazione.
Gli animali capaci di trasformare le granaglie di cui si nutrono in carne
“buona da mangiare” sono un esempio di ottimizzazione. Ottimale è invece quando
ciò che è buono da vendere è anche buono da mangiare. “Per mangiare meglio
dobbiamo saperne di più sul cibo in quanto nutrimento, come dobbiamo saperne di
più sul cibo in quanto profitto. E solo in seguito saremo veramente in grado di
saperne di più sul cibo in quanto pensiero.” conclude Harris dopo aver passato
in rassegna tutti i cibi di cui si nutrono gli uomini a ogni latitudine.
Nessun commento:
Posta un commento