Il
nostro sale marino, dal demanio che ne aveva il monopolio, passa oggi in mani
straniere, con un’operazione finanziaria condotta da Mps (banca finanziata
dallo Stato sotto il governo Renzi). La più grande società di estrazione si
trova in Puglia (800mila tons anno) e va a una multinazionale del sale europea
e mondiale, la francese Salins Spa, leader europea e co leader mondiale nella
commercializzazione di sale industriale, sale stradale e sale alimentare. Un’asta
svoltasi in assoluta forma riservata e a chiamata ha assegnato a Salins spa
tramite la controllata Cis (Compagnia italiana Sali) oltre 500 ha di sale
inseriti in 4mila ha di parco e riserva, in zona turistica. Salins spa ha vinto
l’asta offrendo 5,4 mln di euro come valore cash/reale di acquisto del totale
debito di 16,7 mln . Quindi Mps ci perde inoltre 11,3 mln. I sindacati dei
lavoratori, gli ex titolari di Atisale-Salapia Sale spa detentori della
concessione demaniale fino al 2029 e
autori del forte crack debitorio che ha portato l’impresa al concordato e alla
cessione del 100% del pacchetto azionario, al pegno fideiussorio delle azioni a
alla garanzia delle proprietà personali dei soci tutti verso Mps, hanno scritto
lettere di protesta e le maestranze sono entrate in sciopero. Il Ceves,
l’osservatorio sui prodotti agroalimentari di Giampietro Comolli diffondendo la
notizia “chiede al governo di attivarsi per una verifica delle procedure e
delle azioni avviate, affinché il sale, un prodotto strategico per il Paese
possa essere riconosciuto made in Italy e alcuni siti e saline diventare Igp,
senza fare la fine di quella dello zucchero negli anni ’80-‘90”. Il sale
italiano “purissimo, bianco, grosso a fiocchi o a chicchi made in Italy ha un
prezzo medio al consumo di 2-3 euro al chilo nel migliore dei casi, mentre
tutti i sali di importazione partono da 5 euro per arrivare fino a 40”. “Mps – continua Comolli – ha fatto la banca,
compresa la scelta opinabile di un offerente rispetto ad un altro che sembra
abbia offerto di più, ma senza considerare la sostanza reale del bene oggetto
della collettività nazionale, senza garanzie per il territorio locale, le
maestranze, lo sviluppo imprenditoriale per il quale ci vorrebbe almeno
un’etichetta parlante sulle confezioni e certificare altri siti produttivi
nazionali meritevoli del riconoscimento Dop, Igp o Presidio come oggi avviene
per solo due parti ristrette delle saline di Trapani e di Cervia”. Le Rsu degli
stabilimenti interessati intanto hanno mandato una lettera di protesta al
ministro dell’economia e a quello delle finanze.
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