giovedì 13 dicembre 2018

Il sale marino italiano (s)venduto ai francesi


Il nostro sale marino, dal demanio che ne aveva il monopolio, passa oggi in mani straniere, con un’operazione finanziaria condotta da Mps (banca finanziata dallo Stato sotto il governo Renzi). La più grande società di estrazione si trova in Puglia (800mila tons anno) e va a una multinazionale del sale europea e mondiale, la francese Salins Spa, leader europea e co leader mondiale nella commercializzazione di sale industriale, sale stradale e sale alimentare. Un’asta svoltasi in assoluta forma riservata e a chiamata ha assegnato a Salins spa tramite la controllata Cis (Compagnia italiana Sali) oltre 500 ha di sale inseriti in 4mila ha di parco e riserva, in zona turistica. Salins spa ha vinto l’asta offrendo 5,4 mln di euro come valore cash/reale di acquisto del totale debito di 16,7 mln . Quindi Mps ci perde inoltre 11,3 mln. I sindacati dei lavoratori, gli ex titolari di Atisale-Salapia Sale spa detentori della concessione demaniale fino al  2029 e autori del forte crack debitorio che ha portato l’impresa al concordato e alla cessione del 100% del pacchetto azionario, al pegno fideiussorio delle azioni a alla garanzia delle proprietà personali dei soci tutti verso Mps, hanno scritto lettere di protesta e le maestranze sono entrate in sciopero. Il Ceves, l’osservatorio sui prodotti agroalimentari di Giampietro Comolli diffondendo la notizia “chiede al governo di attivarsi per una verifica delle procedure e delle azioni avviate, affinché il sale, un prodotto strategico per il Paese possa essere riconosciuto made in Italy e alcuni siti e saline diventare Igp, senza fare la fine di quella dello zucchero negli anni ’80-‘90”. Il sale italiano “purissimo, bianco, grosso a fiocchi o a chicchi made in Italy ha un prezzo medio al consumo di 2-3 euro al chilo nel migliore dei casi, mentre tutti i sali di importazione partono da 5 euro per arrivare fino a 40”.  “Mps – continua Comolli – ha fatto la banca, compresa la scelta opinabile di un offerente rispetto ad un altro che sembra abbia offerto di più, ma senza considerare la sostanza reale del bene oggetto della collettività nazionale, senza garanzie per il territorio locale, le maestranze, lo sviluppo imprenditoriale per il quale ci vorrebbe almeno un’etichetta parlante sulle confezioni e certificare altri siti produttivi nazionali meritevoli del riconoscimento Dop, Igp o Presidio come oggi avviene per solo due parti ristrette delle saline di Trapani e di Cervia”. Le Rsu degli stabilimenti interessati intanto hanno mandato una lettera di protesta al ministro dell’economia e a quello delle finanze.

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