mercoledì 1 aprile 2020

Non solo carne cruda, ma pesce nella dieta dei Neanderthal


Risale alla  scorsa settimana la prova di come l’uomo di Neanderthal, vissuto 100mila anni fa, non si cibasse solo di carne cruda di mammut (stile: “Wilma dammi la clava”). La scoperta si deve ad un gruppo di scienziati, portoghesi, statunitensi e di Barcellona, che hanno ispezionato da speleologi una grotta (che ai tempi si trovava a 1,6 km sotto l’acqua, 32 km a sud di Lisbona) ora emersa a livello della costa. Trovandovi resti di crostacei, pesci e molluschi e forse anche di balene. Prima di questa scoperta si sosteneva  che i Neanderthal non avessero l’abilità o l’arguzia di catturare i pesci come facevano in Africa i loro contemporanei Homo sapiens da cui tutti discendiamo. E avessero così perso l’occasione di assumere gli acidi grassi necessari allo sviluppo del cervello.

Ma adesso, nel profondo di questa caverna, la dottoressa Rodrigues e i suoi colleghi si sono impegnati a catalogare più di 500 lische di pesce, nonché resti di vongole, cozze, granchi, uccelli acquatici, uccelli marini, foche e delfini. Questo dopo l’esplorazione, per effettuare la quale gli archeologi hanno dovuto scavare e attraversare prima uno dei suoi tre ingressi in una prima stanza per poi arrivare da uno stretto passaggio nella seconda stanza molto più piccola. E ne sono usciti con sacchi pieni di sedimenti formatisi tra 86mila e 106mila anni fa. Nei quali c’erano i resti di squali, anguille, murene, gronghi, triglie e orate.

Questa variegata vita marina costituiva circa la metà della dieta dei Neanderthal della zona esplorata. Che si cibavano anche di piante, come dimostrano i ritrovati resti di pinoli. La scoperta rivede così le teorie sulla “modernità” cognitiva dei Neanderthal e su quanto fosse davvero diversa da quanto si pensava la specie estinta dei nostri primi antenati umani. 

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