mercoledì 20 ottobre 2021

Le traversìe e i costi del made in Italy alimentare

Ora, che il made in Italy alimentare, che vale il 25% del Pil (prodotto interno lordo) nazionale, sia la maggiore economia del Belpaese è cosa risaputa. Ma quanto valgano le imitazioni (il cosiddetto, tra gli addetti ai lavori, italian sounding), prodotte altrove nel mondo, tipo il parmesan e altri congeneri, che sembra si aggirino sui 44 mld di euro, è cosa da chiarire. Altrimenti si perde ciò che abbiamo di più prezioso e che anche l’Europa ostacola con proposte tipo il Nutriscore. Ne ha parlato, come hanno fatto sapere Paolo Massobrio e Marco Gatti nella loro Notizia del Giorno del Club Papillon da loro fondato, Andrea Zaghi su Avvenire. Il quale ha scritto anche come la filiera Farm to Fork (dal prodotto alla tavola) sia difficile da sostenere. Per i forti rincari delle materie prime, i costi di trasporto (vedi le recenti proteste degli addetti nei porti italiani di questi giorni contro il green pass) e della burocrazia. Vi sarete accorti anche voi come oggi l’ortofrutta, e non solo, costi di più del livello che aveva raggiunto prepandemia. Una pera singola, per fare un solo esempio, e neanche delle migliori, costa 1 euro, cioè 2.000 delle vecchie lire. Finiamo così per fare la spesa a pezzi, come facevano una volta i Paesi del Nord, che i nostri orti non li hanno, e non a chilo. Alcuni settori, come quelli del vino (svoltosi in presenza quest’anno il Vinitaly di Verona, con tutte le cautele necessarie, mascherine e distanziamento), si stanno riprendendo, ma la strada è ancora tutta in salita.


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