Slow Food, il cibo buono,
equo e giusto, arrivato ai 30 anni di vita traccia un bilancio della sua
attività che è avvenuta i primi anni sotto la direzione del fondatore, Carlo
Petrini. L’obiettivo di acquistare cibo dai Paesi terzi, il Sud del mondo, per
aiutarli ad emanciparsi e venderli qui attraverso un circuito di cooperative e
poi pian piano anche attraverso la grande distribuzione – soprattutto caffè,
the e cioccolato – ha dato i suoi frutti ma solo in parte. Un’economia
veramente solidale in pratica non esiste. Europa ricca con orti in città e
resto del mondo con le sue monocolture non reggono l’impatto: adesso abbiamo
Paesi poveri i cui abitanti mangiano hamburger ed esportano i cibi che noi
consideriamo buoni ed equi a prezzi elevatissimi e non solo per il consumatore
finale ma anche a prezzi sociali che significano drenare e inquinare acqua
della foresta amazzonica. E rendere “ricchi” i Paesi del sud est asiatico
soltanto nel risvolto peggiore della postmodernità e cioè inquinamento di aria,
acqua e drenaggio di tutte le risorse disponibili per inviare qui da noi
prodotti esotici e anche quelli che noi chiamiamo nutraceutici ma lavorati a
caro prezzo.
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