mercoledì 25 settembre 2024

La misoginia di Slavoj Zizek e le ultime fatali avversità in questa povera terra

Se in un romanzo ad un certo punto compare una pistola, prima o poi questa sparerà. Se un uomo con il fucile ne incontra uno con il revolver, il secondo non avrà scampo. Questi pochi miei ricordi di quando studiavo da critica cinematografica, e ho ancora una libreria piena davvero di volumi in argomento, compreso un compendio di cinema e psichiatria in cui si spiega anche come è che nei film i medici in genere non ci facciano una bella figura. Ma sono ricordi ormai lontani e per un po’ della settima arte ho anche scritto ma in un newsmagazine in cui la cultura si condivideva senza monetizzare alcunché. Bene, di cose interessanti ne ho fatte, ma la vecchiaia incombe e non è bella. A parte procurarsi un bozzo in testa e rompermi un femore, stavo già male senza queste altre due preoccupazioni. Ma tant’è, la vita dà e la vita toglie. Ci sono persone più fortunate e altre meno. E altre ancora che hanno messo a frutto gli insegnamenti di genitori e professori in gamba e altri poco. Ma non per colpa loro, proprio per madri e padri e professori. A me non poteva capitare di peggio. In entrambi i casi. Per questo quando tra le mie peregrinazioni nei libri e articoli di giornale ho incontrato la firma di Slavoji Zizek mi si è aperto un mondo. Lui dei suoi genitori non voleva nemmeno sentir parlare. Capitolo chiuso. E dire che mio padre era buono e me l’aveva insegnato che la terra, che gira su se stessa in un movimento di rotazione da ovest a est e di rivoluzione intorno al sole (le 24 ore di un giorno e una notte), avrebbe potuto subire prima o poi uno scostamento. Lo zenit diventare nadir? Possibile. Poco probabile, ma possibile. I ghiacciai del Polo Nord che si sciolgono? Possibile. Anzi, già fatto. Il Polo Sud che diventa rovente? Possibile, anzi già fatto. Impossibile non intenerirsi per i piccoli canguri che saltano nel marsupio della mamma per scappare dalle fiamme. Come era già stato fatto prima per i panda che mangiavano canne di bambù incuranti della loro brutta fine, tra un mare di plastica che invade le nostre coste, ottomila chilometri, per l’esattezza. Al peggio non c’è mai fine, questo me l’aveva insegnato il mio analista. E aveva ragione. Solo che io ai tempi prendevo sottogamba i suoi insegnamenti e mal me ne incolse. Ma ero giovane, avevo appena trovato un uomo che faceva davvero per me, come mio marito, venuto prima, del resto. E anche il mio fidanzatino del liceo che avrei dovuto tenermi ben stretto. Ma chi capisce poco le lezioni della vita, ne paga il fio. Adesso che sto per diventare prozia - sia mai detto che avrei potuto diventare mamma, nonna o bisnonna, non mi è stato dato - ne avrei da insegnare, ma non sono un buon modello comunque.

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