mercoledì 25 settembre 2024

Libri per l'estate

Nelle mie giornate di vacanza nullafacente per il troppo caldo ho riletto, oltre a molti altri, un libro degli anni Ottanta, Multigiornalismi”. Stupefacente rivedersi dopo trent’anni ancora a quei tempi. La tesi sostenutasi è la seguente. In Italia la lettura dei quotidiani e quindi la capacità di formarsi una coscienza prima ancora che politica, civile, è un atto ben lungi superato dal guardare la televisione e adesso dal chattare in internet. Insomma siamo un popolo di mattacchioni che invece di cercare di imparare qualcosa criticamente subiamo supinamente quel che passa la tv. Ed è su questo vulnus, sia detto per inciso, che ha fondato il suo impero mediatico Mediaset. Ma anche Riffeiser con Vista e Cairo con La7 non sono stati a guardare. Padroni delle industrie di quando il cinema muto era ancora muto che adesso siedono su imperi mediatici da milioni di milioni. L’editoria cartacea non ce la fa a stare dietro ed è stata anche accusata di farsi sovvenzionare l’acquisto della carta dallo Stato. Adesso arriva l’intelligenza artificiale della quale ai tempi di “Multigiornalismi” non si pensava nemmeno. Comunque la televisione e la radio, e quest’ultima compie cent’anni, privilegiano, come del resto il cinema, la comunicazione, mentre i quotidiani l’informazione. L’informazione è fatta di simboli discorsivi che richiedono una meditazione, mentre la comunicazione simboli rappresentativi a più alto coinvolgimento emozionale. E finché in Italia non si raggiunge un grado di istruzione adeguato difficile che la prima prevalga. Quattro i nodi da sciogliere che il libro si propone di fare: la problematicità della percezione sociale del giornalista; la cultura e la formazione degli operatori; l’impatto degli assetti proprietari; la crisi del prodotto generalista. Che poi, aggiungo io, non è mai stata vera crisi perché la televisione generalista è ancora la più guardata dagli italiani. Si intenderà generalista di un prodotto cartaceo che si occupa di moltissime problematiche, dalla politica, sempre in primo piano, alla cronaca, bianca e nera, all’economia, agli spettacoli, allo sport. Ma è curioso osservare come trent’anni fa si parlava già di multigiornalismi, termine che trent’anni dopo scivolerà nella parola multiverso. Cercare di spiegare cosa sia il multiverso è compito arduo. Ma immaginate una rete, in questo caso internet, che collega una miriade di punti nodali dai quali si può entrare e uscire a piacimento ingollando una pillola rossa o un pillola verde. Il protagonista di questa vicenda si chiama Neo e il suo alveo è naturalmente un film, o un libro, fate voi. Solo che ad un certo punto questa vicenda diventa realtà ed è come se fossero connessi una miriade di computer dai quali trarre la propria storia personale. C’è di che spaventarsi, ma è tutto vero. Viviamo ormai nella rete delle reti. E anche un apparente innocuo lago artificiale tira su una miriade di pesci, sì, ma tutti morti. Il multiverso comunque comporta una cosa non molto facile da realizzare, essendo l’Italia composta da circa ottomila comuni e quasi tutti sul mare. E cioè la digitalizzazione dei comuni stessi con la stesura dei cavi che trasportano internet nelle case. E con la connessione di questi cavi in punti nodali dove si smistano le consegne. Con l’elefantiasi della nostra burocrazia un compito improbo.

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