mercoledì 1 giugno 2022

Scuola, lavoro, sanità da privilegiare rispetto al vino

I vini italiani, tra fermi e bollicine, hanno risentito della pandemia e adesso della guerra. Tra gli altri spumanti preoccupa, oltre al Trentodoc e al Franciacorta, la situazione dell’Asti Docg, fratellino dello spumante francese, le bollicine più famose al mondo. Le sue bottiglie esportate in Russia nel 2021 ammontavano a 12,6 mln. Chiaro che adesso un mercato così ampio e radicato non si ripristina in fretta. Pandemia, guerra, rincari energetici, costi alla produzione poco sopportabili. Mantenere i prodotti agrifood in idonei ambienti refrigerati richiede investimenti notevoli e oggi, senza contromisure da parte di Governo e Ue, il rischio è di un conto energetico fuori controllo che ricadrà sulle spalle dei nostri figli. Veniamo dunque ai numeri delle bollicine italiane del 2022, che il direttore Giampietro Comolli di Osve (Osservatorio Vini Effervescenti) ci ha voluto molto cortesemente concedere e che finora sono stati pubblicati solo dai quotidiani economici, Sole 24 Ore e Italia Oggi nelle sue pagine di Agricoltura Oggi, e nelle pagine interne locali dei giornali diffusi nelle più importanti terre dei vini (Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Sicilia; che, se ci fate caso, sono le regioni che più hanno combattuto per l’Italia libera dagli invasori e unita nell’Ottocento risorgimentale). L’ esperienza in periodo di epidemia ci ha insegnato che per la prima volta negli ultimi 40 anni la bottiglia di spumante vale di più rispetto al volume delle vendite/spedizioni e dei consumi. Questi ultimi hanno accolto e accettato rincari sul prezzo della bottiglia allo scaffale e nel sistema dell’ accoglienza per motivi extra aziendali. Il sapere con la certezza della certificazione da dove arriva un vino pregiato, come i Supertuscan, i costi reali di filiera, le chiusure e le reclusioni pandemiche, e il sentiment verso i prodotti made in Italy hanno contribuito al successo dei valori sui volumi. Consentendoci così di recuperare qualcosa sui cugini francesi, anche se il prezzo marginale in cantina e soprattutto alla dogana è invece ancora eccessivamente basso. “Bisogna – conclude Comolli - lavorare non a seconda della denominazione ma a livello nazionale, con un impegno istituzionale molto ampio. Certo non si possono chiedere altri soldi pubblici in questo momento: un aggravio di 12-17 mld di euro al mese di spese quasi fisse e di sostegni vuol dire un aumento di 150-160 mld di euro all’anno del deficit sul Pil nazionale. E in deficit è anche l’export verso la Russia, causa la mannaia Putin, anche se questo mercato ha sempre optato per vini di scarso valore.” “Una sfida interessante sarà – conclude - nel 2022, monitorare i costi di produzione e i diversi incrementi di voci di spesa specifiche per i vini spumanti (rispetto ai vini fermi), fra quelli a metodo tradizionale classico e quelli a metodo italiano, quest’ultimi con un consumo energetico molto superiore. Ma quanti locali avranno già tirato giù la saracinesca in modo definitivo? Resto pur sempre della mia idea sociale - filosofica- economica: si può fare a meno di una bottiglia di vino, ma non di un’ aria salubre, sana, salutare oggi e soprattutto domani. Solo “scuola, lavoro, sanità” dovrebbero essere sostenuti, calmierati e asseverati con soldi pubblici. Tutte le restanti voci del bilancio nazionale devono essere in pari o in utile, altrimenti si rischia grosso. E’ un tempo di “vacche magrissime” che necessita di un’ intelligenza di lungo periodo. Purtroppo sono scelte in gran parte in mano agli attuali politici.”

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