mercoledì 27 gennaio 2021

In Memoria e in Ricordo

Oggi, 27 gennaio, è la Giornata della Memoria, istituita nel 1975 in ricordo dei martiri della Shoa, lo sterminio nazifascista degli ebrei nei lager durante la Seconda Guerra Mondiale. Per me, che sono nata a Trieste, ha una doppia valenza: primo, in quanto in questa città ci fu l’unico campo di detenzione, la Risiera di San Sabba (sabato è il giorno di festa per gli ebrei). E non come pensa e come ha anche detto Fico, presidente della Camera del M5S, che i campi ci furono un po’ dappertutto in Italia (va bene essere digiuni di politica e ricoprire lo stesso una carica istituzionale importante, ma una scivolata così in basso sulla storia …). E secondo perché mi rimanda subito al 10 febbraio, Giorno del Ricordo, istituito molto dopo, in memoria delle vittime delle foibe, i canaloni lunghi e stretti del Carso, nell’immediato entroterra giuliano, dove venivano gettati vivi gli italiani oppositori di Tito, il dittatore jugoslavo che, sul fronte dell’Europa Orientale (oggi esteso a molte più nazioni), voleva tenersi per sé Trieste, divisa subito dopo la guerra dagli Alleati in due zone, zona A all’Italia e zona B appunto alla Jugoslavia. Oltre ai martiri delle foibe, molti furono i profughi e gli sfollati giuliani e dalmati che dovettero lasciare le loro case e i loro averi per attraversare il confine e riparare in Italia. “Felice il popolo che non ha bisogno di eroi”, disse qualcuno. Per non dimenticare, ricordo qui l’apologo di Brecht che recita: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e dietro non c’era rimasto nessuno a protestare.” Consigli di cosa mangiare o portare in casa a chi, ebreo, vi invita in visita: pane azzimo, quello bianco piatto non lievitato, e sale. Azymos in greco significa infatti privo di lievito e in ebraico diventa mazzah. Si impasta in tempi brevi e ha una lunga conservazione, per questo si preparava in fretta e furia da chi veniva portato via. Oggi è il pane delle celebrazioni pasquali e si cuoce, dopo aver impastato farina e acqua, e steso la pasta in fogli spessi non più di 3 mm, in forno a 250°C.

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