E’ iniziata lunedì una tregua sulla guerra del latte
sardo, con l’intervento delle istituzioni. Le quali hanno attivato tre tavoli
di trattative: mercoledì 20 febbraio, quello a Bruxelles alla presenza
del premier Conte per vedere se va in porto l’accordo sul prezzo tra pastori e
controparti seduti l’ altro ieri in Regione alla presenza del Presidente,
Francesco Pigliaru, dell’assessore all’agricoltura, Pier Luigi Caria, e del
ministro delle politiche agricole e forestali e del turismo Gian Marco Centinaio.
Martedì poi l’incontro con le banche,
alla presenza dell’assessore alla programmazione Raffaele Paci, il quale ha
detto che i 72 centesimi offerti dai trasformatori a partire dai 60 di oggi è solo un punto di partenza.
I rappresentanti di Regione e governo si sono detti
disponibili “ad aggiungere altre importanti risorse per permettere di svuotare
i magazzini dando un segnale forte ai mercati.” Senza formaggi da vendere il
prezzo salirebbe alle stelle e gli alibi di chi non vuol sentire le ragioni dei
pastori scomparirebbero. “La proposta fatta dagli industriali sul litro del
latte in acconto è di 72 centesimi, gli allevatori rilanciano a 85. Sul piatto 50
mln di euro per levare dal mercato il prodotto, eliminando le eccedenze, e
permettere una risalita del prezzo del
pecorino Romano e così del latte in poco tempo.” 15 mln dalla Regione, 10 mln
il Banco di Sardegna, 10 dal Mipaaft e 15 il Viminale.
A supporto del lavoro fatto, Caria ha anche diffuso
un patto di filiera su cui da mesi si stanno confrontando gli operatori e i rappresentanti del sistema.
Con i 12 articoli approvati da tutti i partecipanti si danno risposte nuove per
la stabilizzazione del medio e lungo periodo della filiera: le imprese di
trasformazione cooperative e private si impegnano a riconoscere il latte come
fondamentale e di pagarlo a un prezzo non inferiore a quello che sarà stabilito dal tavolo, non
meno di 72 centesimi Iva compresa, con un minimo contrattuale per quello
conferito sino al 30 marzo 2019.
Questo come acconto per il conferimento del
prodotto, e un saldo ancorato ad una griglia che dovrebbe far salire il prezzo
a quanto chiesto dai pastori, 1 euro. Le imprese di trasformazione, si
impegnano a comunicare entro il 31 gennaio la quantità di latte da inserire nel
monte regionale destinato ad altre produzioni (vendita tal quale, polvere,
formaggi molli). Il volume dovrà essere di almeno 30 mln di litri. Oilos,
l’Organismo inteprofessionale latte ovino sardo composto da 25 soggetti con
sede nell’associazione regionale allevatori (Aras Sardegna), che si è
costituito con la firma del ministro Centinaio, si impegna a definire le
strategie di gestione del monte latte che le imprese di trasformazione dovranno
accettare.
Il Consorzio di tutela del pecorino Romano si
impegna ad approvare le modifiche al disciplinare secondo lo schema licenziato
il 30 novembre 2010. Le imprese di trasformazione si impegnano ad approvare
all’interno degli organi del consorzio di tutela, un incremento delle
contribuzioni aggiuntive. Il sistema prevede già che l’acconto sia anticipato
al conferimento, nei mesi di gennaio e febbraio. Il saldo viene pagato al
termine della campagna, intorno a novembre ed è in quel momento che il prezzo
diventa definitivo. In sostanza, se già ai primi dell’anno il prezzo è basso,
lo sarà anche a saldo, a meno di impennate nel mercato dei prodotti ovini
derivati. Per alcuni dei quali, come il pecorino Romano, è notizia, ma non
confermata, che possa essere stato in questi mesi prodotto utilizzando latte
straniero.
Esiste
comunque di certo il pecorino sounding, con forme prodotte nel Wisconsin e
anche oltralpe dalla Lactalis. Pastori, trasformatori privati e cooperative,
per un totale di 300 mln di litri di latte a stagione e oltre 10mila aziende
con le famiglie e l’indotto decideranno insieme. Almeno questo è l’auspicio dei
politici, mentre gli allevatori si dimostrano contrari (uno è anche salito su
un traliccio della luce per protesta) e chiedono ancora tempo per rivedere i
patti. Anzi, prevale proprio l’idea di non dare il via libera alla firma
dell’accordo. Secondo Coldiretti “l’acconto
iniziale di 72 centesimi al litro è motivo di insoddisfazione perché si trova
sotto i costi variabili medi di produzione certificati dal recente studio Ismea
elaborato per fare luce sulla crisi del settore.
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