lunedì 2 luglio 2012

Buono da mangiare o da vendere e comprare?

C'è una storiella ebraica raccontata da Moni Ovadia, quindi non sospetta di razzismo, che narra di due capitalisti che si scambiano scatolette di tonno pregiato, o di caviale, fate voi. Dopo il lunghissimo giro che queste fanno passando di mano in mano, naturalmente dietro adeguata contropartita, uno dei due chiede all'altro: "Ma saranno ancora buone da mangiare?" E l'altro risponde: "Ma queste non sono per mangiare, solo da vendere e comprare, vendere e comprare ...". Ecco, la battuta mi è venuta in mente leggendo sulla Notizia di Club Papillon la storia del pomodoro, che dopo essere stato oggetto per decenni di selezioni varietali per renderlo esteticamente più bello e perfetto, adesso si tenterebbe di restituirgli il vero sapore, che da tempo ha perduto. Non ditemi che nessuno se ne era accorto. I pomodori, almeno quelli normalmente in commercio presso i supermercati, sono sempre più tondi, sempre più rossi, sempre più grandi, sempre più lucidi, ma in realtà non sanno più di niente. E che dire dei perini con i quali da noi in famiglia si faceva un'ottima salsa che oggi non ha più lo stesso sapore? Anche i San Marzano, vanto delle campagne campane, sono quasi diventati introvabili, a favore di varietà di più facile smercio. Ecco, quando si parla di cucina tra tradizione e innovazione, di sapori veri dell'orto, di ritorno alla terra, bisognerebbe ricordarsi che i pomodori, come qualsiasi altro ortaggio o frutto, non stanno lì solo per essere venduti e comprati ... e richiamare i venditori di sementi alle loro responsabilità.

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