martedì 15 marzo 2011

Per un "risorgimento" alimentare

Se c’è una cosa che non sopporto, io che in Storia del Risorgimento mi ci sono laureata, è tutta questa retorica che si sta facendo (con il contorno della ricerca del piatto tricolore più adatto, o del vino per le celebrazioni) sull’Unità d’Italia (povero Pellegrino Artusi compreso, di cui nel 150° della nostra nazione unita cade il centenario della morte, e che l’Italia unificò a tavola). E questo perché si dimentica che, oltre a regalarci una monarchia come Casa Savoia, con tutti guai che combinò e i cui discendenti non mi sembra si distinguano per ciò che dovrebbe significare avere “sangue blu”, il processo storico che portò all’Italia unita, spedizione dei Mille compresa, fu l’ accordo tra la borghesia industriale del Nord e i latifondisti agrari del Sud (con buona pace dei Mazzini e dei Cattaneo, che credevano nella rivoluzione democratica dal basso e nell’Italia federale). Intanto domani sera, sul palco delle celebrazioni, la “notte bianca” (ma perché una notte bianca?) dell’Unità a Torino, prima capitale d’Italia, saliranno Davide Van de Sfroos (ma non era un cantautore dialettale?) e Roberto Vecchioni (che per vincere Sanremo ha scritto la più brutta canzone della sua vita). Confortiamoci con la notizia pubblicata oggi su Repubblica secondo cui sarà possibile combattere la fame nel mondo anche quando nel 2050 saremo in 9 miliardi. Ma non seguendo la tecnologia dell’agribusiness, quanto dando spazio all’agricoltura organica e sostenibile, cioè meno fertlizzanti, meno irrigazione, e anche meno cereali destinati all’alimentazione bovina negli allevamenti intensivi, mentre il pascolo allo stato brado non incide sulla produzione cerealicola, da destinare piuttosto all’alimentazione umana, perché interessa terreni marginali e sfrutta l’erba che cresce spontanea.   

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