giovedì 28 settembre 2023

Economia all'idrogeno

C’era una volta nel 2015, che visto dall’anno in corso sembra il Giurassico, un ricercatore americano, Jeremy Rifkin, un ricercatore scientifico molto quotato all’epoca insieme ad un’altra interprete dei tempi come Naomi Klein (che dopo aver scritto No Logo, la Bibbia antiglobalizzazione del Novecento, si confronta oggi con il tema del “doppio”), che ci vedeva lontano. Aveva infatti scritto un volume molto interessante, Economia all’idrogeno, che analizza i temi con cui ci confrontiamo oggi. Il surriscaldamento globale, la fine dell’era dei combustibili fossili, l’avvento di nuove macchine capaci di muoversi con una nuovissima forza motrice: l’idrogeno, appunto. Già, ma cos’è l’idrogeno? Da dove lo ricaviamo? Come lo immagazziniamo? Dove lo stoccheremo? Quanto costerà: al consumatore finale, agli intermediari, all’ingrosso? L’idrogeno è un derivato dell’acqua che non si ricava per elettrolisi come facevano i primi sperimentatori con le rane, ma si ottiene con le celle a combustibile, come quelle che vediamo sui tetti delle nostre città adesso che ci hanno fatto rifare gli impianti delle nostre case con il superbonus. Ed è una fonte rinnovabile. L’aspetto principale del suo ricorso, scrive Rifkin è che solare, eolica, idroelettrica o geotermica è che è immagazzinabile e può essere usata quando e dove necessario senza alcuna emissione di CO2, che come si sa inquina l’aria. Il processo di rigassificazione delle biomasse genera infatti C02 riassorbibile dalla crescita di nuove piante. Ma con l’immagazzinamento dell’energia che comporta l’uso di idrogeno, questo problema non si pone. Così dopo il traino di buoi e cavalli, dopo le più o meno moderne macchine a benzina (un derivato del petrolio che oggi è arrivato a prezzi stellari) si inizia a pensare in modo nuovo.

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