giovedì 24 aprile 2025

Come gestire una discussione

Esulo per una volta dai miei temi su agronomia per una digressione su quella che il filosofo Shopenauer chiama l'arte di avere ragione. Qando una discussione si protrae troppo a lungo, un semplice “uhm” o un semplice va bene può agevolmente metterci fine. Difficile però finirla lì quando uno dei due contendenti ha sempre la risposta pronta, soprattutto sotto forma di battuta di spirito. O ricatta attraverso i sentimenti e i suoi mali fisici, che certamente possono esistere ma non devono essere usati come arma di scambio. Ora lo humour ha certamente due aspetti. Uno che potremmo chiamare “buono” e uno “cattivo”. Il primo si rivolge ad una persona per prenderla in giro benevolmente e sempre benevolmente farle capire dove e se sbaglia. L’altro invece è usato come una clava per annientarla, soprattutto se ci sono di mezzo affetti come le parentele o altri rapporti. Non vorrei spingermi troppo oltre per non entrare nel terreno minato dei rapporti coniugali o di coppia che abbiamo visto troppo spesso sconfinare nei maltrattamenti. Ma pensiamo solo ad un litigio tra madre e figlia, uno dei più comuni. O sulla diversità di vedere le cose tra due amiche che, peraltro, finché non interviene il dissidio, andavano benissimo d’accordo. Ora questi sono i casi in cui si può argomentare su come mettere fine a una diatriba. Fingere di ignorarsi non conviene, perché inasprisce il dibattito in corso. Dare ragione all’altro/a nemmeno perché lascerebbe aperto un dissidio difficile da dissipare. Allora conviene agire con un po’ di astuzia mista a benevolenza. Possiamo benissimo cedere la ragione, anche se non c’è l’ha, al contendente. Oppure spostare di pochissimo l’oggetto della discussione, portandola su un piano che noi conosciamo meglio per avere l’agilità di parlare su un livello almeno un pochino superiore di ciò che ha scatenato la discussione. A me capita spesso con un’ amica con la quale me la intendo benissimo meno che sul piano della politica, della letteratura e della musica pop. Quante volte avrei dovuto mettere uno stop alle sue pretese di farmi leggere libri sul cui contenuto non ero affatto d’accordo. Soprattutto sulle biografie o autobiografie che spostavano il mio sguardo sul mondo saldamente ancorato a quello che una volta si chiamava di sinistra. Ecco qui ho sbagliato io. Troppo condiscendente non va bene. Sappiatelo voi che vi trovate a dover dibattere. I vostri principi non devono essere messi in discussione. Quindi un semplice, sì lo leggerò, per poi ribattere l’ho letto, anche se non l’avete fatto, ma non saprei che dire, forse è la cosa migliore. Un po’ di sana ignoranza, anche se non vera ma ostentata in chiave difensiva invece di avere la pretesa di sapere sempre tutto, come fa la mia amica, è spesso la chiave migliore per chiuderla lì.

Consumi ed export dell’Asparago verde di Altedo

Di che cosa crede di parlare il ministro dell’agricoltura dell’attuale governo quando parla di sovranità alimentare non si sa. Ma ciò che preoccupa è che forse non lo sa nemmeno l’opposizione. Dati alla mano, e di questo si dovrebbe parlare quando si parla di guerre commerciali, fino a quando non è arrivato Trump, il commercio libero globale ci consentiva ampi spazio di miglioramento dell’export delle nostre specialità, che sono uniche, nel mondo. Il Consorzio dell’Asparago Verde di Altedo, per fare un solo esempio stagionale, IGP (Indicazione geografica protetta, può crescere ed essere processato solo nella sua zona di provenienza), in collaborazione con CSO Consorzio Servizi Ortofrutticoli Italy (e già quell’Italy stona con le nostre eccellenze alimentari, perché non chiamarlo semplicemente Italia?), ha intrapreso fin dal 2003 iniziative per far conoscere le caratteristiche e le potenzialità del prodotto sia dal punto di vista produttivo che commerciale. Dalla qualità al legame col territorio, dalla tradizione alle attività del prossimo futuro, molti i temi trattati tra cui la storia del consorzio, nato nel 2003, la produzione, la commercializzazione e la valorizzazione. I consumi interni sono in netta crescita negli ultimi due anni, circa 24mila tonnellate e le esportazioni sono salite da circa 1.000 tonnellate nei primi anni Duemila alle attuali 8.000. “La produzione dell’asparago interessa molte regioni italiane – ha affermato Tomas Bosi di Cso – ma esiste un riconoscimento della qualità legato alla forte vocazione del territorio, che vede l’Emilia-Romagna, insieme al Veneto, ai primi posti. La produzione di asparago in Italia è molto concentrata sulla tipologia verde (di asparagi ce ne sono ottimi anche di bianchi) che peraltro è in crescita.” I punti salienti della modifica al Disciplinare di produzione riguardano l’aggiornamento delle varietà e aspetti legati al confezionamento e alla presentazione del prodotto. Una gestione razionale dell’uso dell’acqua è importante per abbassare il costo della manodopera e per prolungare la vita dell’asparagiaia. Importante è anche l’innovazione varietale. Ma solo il 40% delle famiglie italiane acquistano asparago, un po’ per la non conoscenza del prodotto e molto per l’inflazione attuale che ha spinto il suo prezzo a salire, con un consumo medio annuo di 2,3 kg: ci sono quindi ampi spazi di miglioramento. Coop ha introdotto la referenza nella sua linea Fior Fiore e Conad in Sapori&Dintorni, Esselunga li vende nella sua linea Top Quality. Asparago, una varietà di verdure dalle molteplici qualità organolettiche, quella diuretica principalmente. Ma, come si diceva più sopra, solo il 40% delle famiglie italiane lo acquistano, con un consumo medio annuo di 2,3 kg. La produzione è molto concentrata sulla varietà verde la cui modifica del disciplinare di produzione riguarda l’aggiornamento della varietà e aspetti legati al confezionamento e alla presentazione del prodotto. Quello bianco è più pregiato e forse anche per questo meno presente sulle tavole degli italiani. Due le ricette classiche per gustarli al meglio. Intinti nel rosso d’uovo delle uova al tegamino oppure conditi con formaggio grattugiato e burro fuso e magari una spolverata di tartufo, visto che siamo in stagione. Ma si possono anche condire con maionese oppure olio di oliva extravergine.

Ricette di stagione: i carciofi

Visto che si stagionalità ortofrutticola tutti si affrettano a parlare oggi con il ministro della sovranità alimentare, quando per me la questione era già stata portata alla conoscenza di tutti, le ricette di oggi sono quelle con il carciofo. Chi possiede un orto lo sa, interi filari di vitigni non sarebbero possibili da vitare appunto senza questo prezioso frutto della terra che nella nostra Penisola cresce con il drenaggio dell’acqua e dà vita alle sue foglie e ai suoi gambi proprio in primavera. Anche se con questi sconvolgimenti climatici una volta cresce sopra l’Emilia Romagna e una volta sotto. E proprio l’Emilia Romagna è stata teatro in questi ultimi tempi di inondazioni da noi un tempo sconosciute. Carciofi dunque, ma alla Romana o alla Giudia? Queste sono le due ricette che conosco anche se di questi tempi parlarne in tali modi può suonare blasfemo, visto che Roma è caput mundi della cristianità cattolica e la Giudea è la terra oggi più martoriata per dove nacque Gesù e con esso gli Ebrei. Alla Romana si mettono in una casseruola i carciofi interi con tutto il gambo e li si cuoce a fuoco lento a testa in giù ricoprendoli a metà con acqua, sale e prezzemolo, dopo averli lavati in acqua e limone e potati delle foglie esterne più dure. Calcolare il tempo di cottura secondo a come si restringe l’acqua, senza farla restringere tutta. Alla Giudia si mondano delle foglie esterne più dure e della barba interna e gli si toglie il gambo. Si fanno riposare in acqua e limone. Il procedimento poi prevede la preparazione di un ripieno di pangrattato, aglio tritato, prezzemolo, olio e sale. A questo punto gli si toglie dall’acqua e si cerca di allargare la loro estremità superiore il più possibile per permettere di farvi entrare il ripieno. In un tegame alto si mette l’acqua e sale fino a metà e vi si pongono in piedi i carciofi così farciti. Cuocere fino a che l’acqua si sia ristretta ma senza bruciare. Consumare con forchetta e coltello togliendo le foglie una ad una e rastremarla con il coltello fino a raggiungere il punto più duro che non è edibile. Un’altra ricetta molto golosa sono i carciofi fritti in pastella. Dopo averli lavati e tenuti in acqua e limone si sciacquano e si tagliano in due parti, compreso il gambo, per la lunghezza. Si passa poi a preparare la pastella con farina, uovo e latte. Si passano i carciofi nella pastella e si friggono in olio di semi di arachide. L’olio di semi di arachide, contrariamente a quanto pensano molti che gli preferiscono l’olio di oliva extravergine, è più adatto per le fritture perché ha un punto di fumo meno alto. Una volta tolti dalla padella si asciugano i carciofi in carta assorbente e si salano. I fritti vanno tutti salati a fine cottura.

martedì 1 aprile 2025

Altan o Pimpa?

Dopo aver lavorato una vita nel settore del marketing, non vorrei smentirmi tutta in una volta, come da questi ultimi post avete potuto leggere. Ma il marketing è davvero un'idrovora che pesca e sugge dove può. Anche nel mio umile paesino di poche anime è riuscito a far rivoluzionare un'intera generazione di giovani che non sapendo dove sbattere la testa la sbattono letteralmente contro il muro. I pretesti sono tanti, una semplice litigata tra giovani, scuderie armate di fanatici dello sport, oramai non solo più del calcio ma di ogni sport, giovani e meno giovani che si sono poco adattati al ritorno alla vita normale post pandemia. E mi ci metto anch'io ... che non so nemmeno se mi convenga o no iscrivermi a X o a Instagram. Insomma la pandemia ci ha rovinato la vita e pazienza se ora dobbiamo rendere conto non solo a chi nel guidare ci diceva di stare attenti a chi ci stava davanti. Il pericolo come al solito viene dal dietro. Come ci insegnava il buon Altan che comunque faceva anche sognare schiere di bambini dietro la sua Pimpa.

Bere analcolico, un marketing aggressivo

Ah, il marketing, gioia e dolore di un'intera, anzi due, generazione di studenti e studendati sempre che ce ne siano di studentati con i prezzi degli affitti che corrono di questi tempi.Il mercato di succhi di frutta e nettari, per esempio, poggia le sue basi su un ampliamento della categoria a tipologie merceologiche similari. Perché le bevande a base frutta, addizionate di fibre, latte e anche estratti vegetali e integratori, appartengono ormai all’area dell’alimentazione salutistica e comunque al più largo ambito del bere analcolico, da poco proposto anche nei ristoranti. Dove si possono consumare anche salutari centrifughe. Occupandosi di bevande a base di frutta, meglio sarebbe parlare di mercato del bere analcolico, perché è un segmento del beverage fortemente condizionato dall’innovazione che ha portato sugli scaffali dei supermercati e dietro il bancone del bar una vasta gamma di bibite diverse: dai più tradizionali succhi alle spremute, dai frullati agli “smoothies”(frutta con latte), dai nettari alle bevande frutta funzionali, dai concentrati ad altre bevande a base succo. Il mercato è ormai maturo, ma io l’ho scoperto solo quando per una terribile emicrania di cui soffro, ho capito di potere bere a mezzogiorno, al posto del tradizionale pasto solo uno di questi succhi, senza che la testa ne risenta. Meglio di tutto un succo di arancia gialla o rossa. E già che ci siamo dirò, senza tema di vedermi crollare addosso un intero segmento del marketing odierno, quello appunto dei succhi di frutta, che meglio ancora è una spremuta di succo di arancia naturale.

Un' azienda di Balsmico ha lanciato le bustine monodose in epoca di pandemia

Certo che al di là di ogni consideraioni moralistica si voglia fare, il marketing non lo ferma proprio nessuno. Per esempio, per farne so solo uno tra i tanti, l’azienda di Venturini Baldini ha lanciato in concomitanza con la più grande sventura ci sia caduta addosso a memoria d'uomo, se si eccettua in Italia la valanga d'acqua delle Dolomiti, prontamente riasciugata a carico delle popolazioni del luogo, la pandemia, le monodosi del condimento di Modena, l'aceto balsamico. Le mini-taglie - hanno detto i responsabili dell'azienda- sono la scelta giusta in questo momento, quando anche nella ristorazione è richiesta la massima attenzione e sicurezza, per rispettare le norme anti Covid. Ecco quindi le monodosi di aceto balsamico di Modena IGP, proposte da Acetaia di Canossa dell’azienda Venturini Baldini, storica Tenuta nel cuore della provincia di Reggio Emilia. Piccole ed eleganti, le bustine di plastica firmate sembrano una carta di credito che riproduce la creatività originale dei prodotti dell’azienda; basta piegarla nel mezzo per dosare – senza sprechi – un prodotto raffinato, della tradizione: 6 ml di aceto Balsamico per sublimare il gusto di secondi piatti e insalate o qualsiasi altra pietanza e dessert. Niente da dire, ma privilegiare, per esempio, in tempi tanto tristi, la ricerca scientifica per vaccinare bene vaccinare tutti non sarebbe stato meglio? ...

Finita la pandemia si apre la lotta contro il gas serra

La lotta contro il gas serra si sposta a lotta contro la pandemia e per assicurare il cibo per tutti. Già anni fa mi ero interessara di queste interrelazioni tra pandemia e gas serra. Il legame tra cibo e cambiamento climatico è tornato, con il Covid, prepotentemente nell’agenda di chi si occupa di riscaldamento globale che, se non fermato con azioni drastiche, porterà un miliardo di persone a rimanere senza acqua e due miliardi a soffrire la fame, se non a morire per la pandemia, e la produzione di mais, riso e grano crollerebbe del 2% ogni 10 anni. Già ora, per via dello sfruttamento intensivo delle monoculture, prevalentemente votate alla produzione di mangime per animali, scompaiono interi campi di grano per la nutriente pasta, fatta eccezione per gli intolleranti al glutine. Il consumo settimanale di prodotti non sostenibili comporta una produzione di gas serra pari a 37 kgCO2eq, mentre con una dieta sana siamo a 14 kg CO2eq. Uno studio condotto da Slow Food con Indaco2 dell’Università di Siena ha analizzato l’impatto di singoli alimenti, dalle mele al latte, dalla carne al formaggio. Prendendo ad esempio le uova, si calcola che il risparmio realizzato da un allevamento all’aperto che rispetta ambiente e animali, rispetto a uno industriale, corrisponde al risparmio delle emissioni di un auto che percorre 30.200 km. “La produzione di cibo, - dicono a Slow Food, il cui slogan è cibo buono pulito e giusto - è responsabile di un quinto dei gas serra, mentre la produzione di mangimi occupa il 40% della produzione agricola mondiale. Da sempre sosteniamo e condividiamo i tre pilastri della Fao per il progetto #FameZero: contrastare lo spreco di cibo che ogni anno raggiunge 1,3 milioni di tonnellate nel mondo; favorire un approccio integrato in agricoltura: l’agroecologia che si basa sul rispetto delle biodiversità e sull’interazione tra colture, allevamento e suolo. Terzo elemento, alla base dell’attività di Slow Food: seguire una dieta sana e sostenibile.” Proprio a questo proposito Slow Food ha condotto una ricerca con Indaco2 (spin off dell’Università di Siena) analizzando l’impatto di una dieta sana e sostenibile con una che non lo è. Il risultato è che quest’ultima genera quasi il triplo dei gas serra. “Un anno di buone abitudini – conclude Carlin Petrini, portavoce di Slow Food – ci farebbe risparmiare CO2 pari alle emissioni di un auto che percorre 3.300 km”. Chi nel Sud del Mondo, vive allevando capre, pecore e cammelli, è stato colpito, causa il cambiamento climatico, da siccità e inondazioni e trovare l’acqua per gli animali è la più grande sfida che deve affrontare. Soprattutto adesso che spostarsi con la pandemia, originatasi proprio in quei luoghi, è più difficile che mai. Ma se nel Terzo Mondo c’è chi fatica a vivere decentemente, chi ha fatto fortuna negli Usa emigrando dall’Italia ai primi del secolo, come Lidia Bastianich, la cuoca adesso di fama internazionale, oggi pensa a come preparare cibo per i bambini meno fortunati. “Ho studiato e ho visto che gli ingredienti esistono – ha detto -. Preparerò una minestra per tutti."