martedì 12 febbraio 2013

Sprechi, agricoltura e circoli viziosi

Un mondo senza sprechi, soprattutto di cibo che è essenziale per sfamarsi e quindi restare in vita - e di gente che non ne ha ce n’è tanta -, sarebbe un mondo perfetto. L’associazione Last Minute Market, in collaborazione con l’Università di Bologna, è impegnata già da alcuni anni a far passare il messaggio, non solo raccogliendo gli avanzi per redistribuirli ad enti benefici, ma anche monitorando la situazione in Italia con un nuovo osservatorio di ciò che va in spazzatura e potrebbe essere recuperato, il waste watch. Ma non è che facendo così, ossia non buttando via nulla, si venderebbe anche di meno? E quindi si produrrebbe meno con tutte le ricadute del caso su occupazione, mancati introiti fiscali (anche se in agricoltura, si sa, si lavora molto in nero, ma la grande distribuzione no, non può farlo) ecc.? Ora è chiaro che una simile equazione non funziona, come non funziona quella opposta del “benessere” lanciata due settimane fa da un noto politico (del quale non facciamo il nome perché siamo in par condicio). Non si tratta più di pagare meno tasse per produrre, vendere, acquistare, crescere, e quindi far funzionare i servizi senza troppa corruzione. O, almeno, non si tratta più “solo” di questo.  E’ il paradigma che, come dice mia sorella: “non so che cosa sia, ma va cambiato”. La famosa contraddizione che teneva in vita la società dei consumi e che nei Sessanta-Settanta i giovani arrabbiati avevano etichettato in modo efficace come modello: “produci, consuma, crepa”, è più che mai attuale. E’ arrivato il momento di riconoscere che sono in ballo interessi di parti opposte: quelle che su questo paradigma ci campano e ci campano molto bene e quelle che ne fanno le spese impegnando tutta la loro vita a lavorare per pochi soldi senza poi nemmeno sapere bene per che cosa vale la pena di pagare qualche cosina in più (compreso nel fare la spesa quotidiana, ossia come poter scegliere i prodotti migliori senza dover chiedere un fido in banca). E di smetterla con il consociativismo. Ce la faranno i giovani agricoltori under 30 che, come si scrive su più organi di informazione, stanno tornando alla terra da laureati, anche non strettamente in agraria, ma con l’idea di restituirle dignità: fertilità senza troppi fertilizzanti, suolo meno inquinato, stop alla cementificazione selvaggia, produzioni autoctone ed esportabili anche senza troppi marchi e bollini, e senza i soliti astuti commercianti su grande scala di mezzo un’altra volta? Perché allora si ricomincerebbe con grandi ordinativi fatti transitare da un oceano all’altro su aerei inquinanti, distruzione di altre economie della terra indigene, e magari altra roba da buttare in spazzatura ...  

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