Ora che l’Oms lancia l’allarme
cancro per un’alimentazione basata su carne
e insaccati, cambiano i tempi, che tra l’altro ci hanno resi più longevi,
grazie alla ricerca scientifica, ma le regola di una sana alimentazione sono le
stesse. Negli anni Settanta si chiamava macrobiotica ed era patrimonio della
controcultura. Oggi si chiama biologico, il 10% delle terre coltivate, o
biodinamico. E si tratta di favorire il metabolismo con una dieta sana che
favorisca l’ambiente e gli animali. Non vegetarianesimo puro e semplice, che
gli eccessi sempre nuociono, ma un insieme di norme e regole senza fare largo
uso di ormoni, pesticidi chimici e additivi. Principi di biologico e
biodinamico sono sostenere la biodiversità contrastando le grandi monocolture e
praticando pratiche antiche quali il riposo della terra e il sovescio. Ossia
girare la terra per concimarla con elementi naturali e ruotare le colture per
non avere sempre lo stesso prodotto ma arricchire la varietà di prodotti che la
terra può dare. Con questi metodi si producono cibi naturali e sani, anche se
più costosi degli altri, e si favorisce una dieta basata su cereali, vegetali,
legumi, come insegnava l’antica saggezza dell’Estremo Oriente e in Giappone
fanno ancora oggi, vedi i fagioli azuki, la soya, il ramen, il miso e i vari tipi
di verdura, pesce e the (bancha, oolong, nero, verde) e caffè senza caffeina
(bardana, dendelio). Non per niente il padiglione del Giappone a Expo è stato
il più premiato anche se pensiamo il meno visto data la coda di anche parecchie
ore per entrarvi. Noi in compenso
abbiamo la dieta mediterranea: verdure, olio, pesce, pasta, anche integrale, e
Slow Food ha inventato il sistema dei Presìdi, poi esportato in tutto il mondo
con Terra Madre, con i quali si difendono ben precisi metodi di produzione
naturali come sono stati tramandati tradizionalmente. Anche qui un’operazione
complessa e costosa di cui si vedono gli esiti positivi appena adesso, che ad
una generazione di persone che hanno studiato legge o lettere, si sta
sostituendo una generazione di giovani, anche laureati, magari in Scienze dell’Alimentazione,
che tornano alla terra dei padri apportandovi tutte le novità che si sono
sviluppate negli ultimi trent’anni. Macchinari di nuova generazione, sementi
non ogm, apparecchi per sondare lo stato del clima e del terreno e per
trasformare i rifiuti in materiale riutilizzabile. La sostenibilità, in una
parola, è la scommessa futura dell’agricoltura, ma solo a patto di non farsela “scippare”
dagli accordi TTip con gli Usa che determinerebbero l’accesso al nostro mercato
di prodotti americani “italian sounding” che poco di italiano hanno davvero. Le
nostre leggi e norme, quanto a derivazione di un prodotto, tipicità e tradizione,
sono molto più stringenti:, si vedano i disciplinari di Bruxelles delle Dop e
delle Igp, i prodotti a denominazione di origine che finora ci hanno permesso
di mangiare cibi controllati e “d’autore”. Adesso viviamo un mondo tutto in
movimento in cui la parola d’ordine è globalizzazione. Ed è proprio per questo
che si fa di tutto per esportare di più. Confortante il caso del nostro vino
che seppur secondo alla Francia, ha aumentato del 20% l’export in Cina, dove è
considerato un prodotto di lusso per le generazioni dei nuovi ricchi.
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