Domani sarà il primo giorno del nuovo Anno che auguro sereno a tutti quelli che mi hanno fatto gli auguri via mail e anche ai miei lettori. Un anno, soprattutto, che porti via la minaccia della pandemia, con tutta la popolazione vaccinata entro l'estate (e pochi e isolati no vax). Lascio indietro il più che pessimo 2020 con le considerazioni che vi propongo in questo post, anche in considerazione del fatto che come blogger mi sono sempre proposta quale critica della (in)civiltà dei consumi e come fautrice di un modo più equilibrato di lasciare la nostra impronta sul pianeta che ci ospita (e che adesso non ce la fa più).
Il surriscaldamento globale, con le conseguenze sul meteo, come l’aumento di CO2, il buco nell’ozono e la tropicalizzazione del clima, ha effetti nefasti non solo per l’aria che respiriamo e sulle specie viventi, ma anche sulla nostra principale fonte di sostentamento: la terra.
In questo quadro
è cosa nota la corsa alla de carbonizzazione dell’energia. Che in Italia si
prevedeva avvenire entro il 2025, poi il 2030 e adesso il 2050. Così la
terza rivoluzione industriale è affidata al New Green Deal. Che parte dalla consapevolezza dei Paesi a
vocazione agricola ed esportatrice. Come il nostro. Che con la sua grande
biodiversità, con il primato nel biologico, seconda solo agli Usa, e con le sue
oltre 200 Dop e Igp nei prodotti alimentari, può fare la differenza nell’
Unione Europea.
Al cui
interno, con lo scambio di conoscenze
anche in campo energetico, si è arrivati a produrre energia alternativa. Proveniente
da fonti rinnovabili non fossili: “energia eolica, solare, aerotermica,
geotermica, idrotermica, oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas
residuati dai processi di depurazione e biogas”, come si legge sul sito www.enea.it. Anche se non tutta di
questa è pulita: gas di discarica e gas residuati dai processi di depurazione,
per esempio, sono la nuova frontiera delle ecomafie.
In base a teorie ormai largamente condivise, verificate
con metodo sperimentale, la temperatura sul nostro pianeta si sta alzando di
qualche grado di troppo. Per esempio in Australia e in Siberia, quest’ultima
simbolo, quando se ne deportavano gli oppositori di Stalin, di temperature più
che ampiamente sotto lo zero, e che adesso stanno letteralmente bruciando.
Si alzano così i livelli dei mari, scompaiono larghi
tratti di costa, laghi e fiumi diventano salati. Il Mediterraneo, culla della
nostra civiltà, esonda. Sarà arrivato il momento di prefigurare un “nuovo
comunismo della solidarietà”, invocato dal filosofo cristiano ateo come me,
Slavoj Zizek in Virus, Ponte alle
Grazie, 28 pp., 3.99 euro, e-book, 2020, dettato anche dalla necessità di
combattere il Covid-19? Esempi di conversione ad un’economia verde già
esistono.
Come quelli,
oltre ai pannelli solari e le contestatissime pale eoliche, dei sottoprodotti dell’
agricoltura. Mentre l’azienda del
pomodoro Mutti, per esempio, ha inaugurato nei mesi scorsi la sua Instafactory, un impianto
mobile di lavorazione sui campi del prodotto che lo coglie nell’istante esatto
della sua maturazione.
Mentre però si stanno sperimentando tutte queste soluzioni intelligenti per
un’agricoltura più sana, si dimentica, o si fa finta di dimenticare che i
prodotti che portiamo in tavola sono raccolti dagli “ultimi della terra”.
Immigrati che vivono in condizioni insostenibili e vengono pagati pochissimo,
mentre il frutto del loro sudatissimo e non riconosciuto a livello sindacale
lavoro, ma solo dalle leggi del caporalato, viene rivenduto nella grande
distribuzione organizzata e dall'e commerce, da cui adesso siamo dipendenti perché il cibo è
l’unico acquisto essenziale che ci fa uscire di casa anche con la pandemia, a prezzi molto più
alti del costo. Il ricavato va a rimpinguare le loro casse e mette poveri
contro poveri. Cioè gli immigrati sottopagati contro i pensionati che si possono permettere
solo prodotti sottocosto.
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