Il surriscaldamento globale, con le conseguenze sul meteo, come l’aumento di CO2, il buco nell’ozono e la tropicalizzazione del clima, ha effetti nefasti non solo per l’aria che respiriamo e sulle specie viventi, ma anche sulla nostra principale fonte di sostentamento.
In questo quadro è cosa nota la corsa alla
de carbonizzazione dell’energia. Che in Italia si prevedeva avvenire entro il
2025, poi il 2030 e adesso il 2050. Così
la terza
rivoluzione industriale è affidata al New
Green Deal. Che parte dalla consapevolezza dei Paesi a vocazione agricola
ed esportatrice. Come il nostro. Che con la sua grande biodiversità, con il
primato nel biologico, seconda solo agli Usa, e con le sue oltre 200 Dop e Igp
nei prodotti alimentari, può fare la differenza nell’ Unione Europea.
Al cui interno, con lo scambio di conoscenze anche in campo energetico, si è
arrivati a produrre energia alternativa. Proveniente da fonti rinnovabili non
fossili: “energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica,
oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di
depurazione e biogas”, come si legge su www.enea.it. Anche se non tutta
di questa è pulita: gas di discarica e gas residuati dai processi di
depurazione, per esempio, sono la nuova frontiera delle ecomafie.
In base a teorie ormai
largamente condivise, verificate con metodo sperimentale, la temperatura sul
nostro pianeta si sta alzando di qualche grado di troppo. Per esempio in Australia
e in Siberia, quest’ultima simbolo, quando se ne deportavano gli oppositori di
Stalin, di temperature più che ampiamente sotto lo zero, e che adesso stanno
letteralmente bruciando.
Si alzano così i livelli
dei mari, scompaiono larghi tratti di costa, laghi e fiumi diventano salati. Sarà
arrivato il momento di prefigurare un
“nuovo comunismo della solidarietà”, invocato dal filosofo Slavoj Zizek in Virus, Ponte alle Grazie, 28 pp., 3.99
euro, e-book, 2020, dettato anche dalla necessità di combattere il Covid-19? Esempi di conversione
ad un’economia verde già esistono.
Come quelli, oltre ai pannelli solari
e le contestatissime pale eoliche, dei sottoprodotti dell’ agricoltura, come vinacce e siero del latte. Mentre
l’azienda del pomodoro Mutti ha inaugurato in questi giorni la sua
Instafactory, un impianto mobile di lavorazione sui campi del prodotto che lo
coglie nell’istante esatto della sua maturazione.
Mentre però si stanno
sperimentando tutte queste soluzioni intelligenti per un’agricoltura più sana,
si dimentica, o si fa finta di dimenticare che i prodotti che portiamo in
tavola sono raccolti dagli “ultimi della terra”. Immigrati che vivono in
condizioni insostenibili e vengono pagati pochissimo, mentre il frutto del loro
sudatissimo e non riconosciuto a livello sindacale lavoro, ma solo dalle leggi del
caporalato, viene rivenduto nella grande distribuzione organizzata, da cui
adesso siamo dipendenti perché il cibo è l’unico acquisto essenziale che ci fa
uscire di casa anche con la pandemia, a
prezzi molto più alti del costo. Il ricavato va a rimpinguare le loro casse e
mette poveri contro poveri. Cioè gli immigrati contro i pensionati e i cassaintegrati che si
possono permettere solo prodotti sottocosto.
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