Risale
alla scorsa settimana la prova di come
l’uomo di Neanderthal, vissuto 100mila anni fa, non si cibasse solo di carne
cruda di mammut (stile: “Wilma dammi la clava”). La scoperta si deve ad un
gruppo di scienziati, portoghesi, statunitensi e di Barcellona, che hanno ispezionato
da speleologi una grotta (che ai tempi si trovava a 1,6 km sotto l’acqua, 32 km
a sud di Lisbona) ora emersa a livello della costa. Trovandovi resti di
crostacei, pesci e molluschi e forse anche di balene. Prima di questa scoperta si
sosteneva che i Neanderthal non avessero
l’abilità o l’arguzia di catturare i pesci come facevano in Africa i loro
contemporanei Homo sapiens da cui tutti discendiamo. E avessero così perso l’occasione
di assumere gli acidi grassi necessari allo sviluppo del cervello.
Ma
adesso, nel profondo di questa caverna, la dottoressa Rodrigues e i suoi
colleghi si sono impegnati a catalogare più di 500 lische di pesce, nonché
resti di vongole, cozze, granchi, uccelli acquatici, uccelli marini, foche e
delfini. Questo dopo l’esplorazione, per effettuare la quale gli archeologi
hanno dovuto scavare e attraversare prima uno dei suoi tre ingressi in una prima
stanza per poi arrivare da uno stretto passaggio nella seconda stanza molto più
piccola. E ne sono usciti con sacchi pieni di sedimenti formatisi tra 86mila e
106mila anni fa. Nei quali c’erano i resti di squali, anguille, murene, gronghi,
triglie e orate.
Questa
variegata vita marina costituiva circa la metà della dieta dei Neanderthal della
zona esplorata. Che si cibavano anche di piante, come dimostrano i ritrovati
resti di pinoli. La scoperta rivede così le teorie sulla “modernità” cognitiva
dei Neanderthal e su quanto fosse davvero diversa da quanto si pensava la
specie estinta dei nostri primi antenati umani.
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