Ora, che il made in Italy alimentare, che vale il
25% del Pil (prodotto interno lordo) nazionale, sia la maggiore economia del
Belpaese è cosa risaputa. Ma quanto valgano le imitazioni (il cosiddetto, tra
gli addetti ai lavori, italian sounding),
prodotte altrove nel mondo, tipo il parmesan
e altri congeneri, che sembra si aggirino sui 44 mld di euro, è cosa da
chiarire. Altrimenti si perde ciò che abbiamo di più prezioso e che anche l’Europa
ostacola con proposte tipo il Nutriscore. Ne ha parlato, come hanno fatto sapere Paolo
Massobrio e Marco Gatti nella loro Notizia del Giorno del Club Papillon da loro
fondato, Andrea Zaghi su Avvenire. Il
quale ha scritto anche come la filiera Farm
to Fork (dal prodotto alla tavola) sia difficile da sostenere. Per i forti
rincari delle materie prime, i costi di trasporto (vedi le recenti proteste
degli addetti nei porti italiani di questi giorni contro il green pass) e della burocrazia. Vi
sarete accorti anche voi come oggi l’ortofrutta, e non solo, costi di più del
livello che aveva raggiunto prepandemia. Una pera singola, per fare un solo
esempio, e neanche delle migliori, costa 1 euro, cioè 2.000 delle vecchie lire.
Finiamo così per fare la spesa a pezzi, come facevano una volta i Paesi del
Nord, che i nostri orti non li hanno, e non a chilo. Alcuni settori, come quelli
del vino (svoltosi in presenza quest’anno il Vinitaly di Verona, con tutte le cautele necessarie, mascherine e distanziamento),
si stanno riprendendo, ma la strada è ancora tutta in salita.
"diario sul cibo per chi non crede che il cibo sia cultura ma nutrimento e garantirlo a tutti sarebbe già un bel passo avanti...esistono 'il pane e le rose'…assicuriamo il pane a tutti perché tutti possano avere anche le rose…"
mercoledì 20 ottobre 2021
Le traversìe e i costi del made in Italy alimentare
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