Netiquette: le norme e la lobby delle
top ten alimentari
La Notizia del Club Papillon (Paolo Massaobrio
e Marco Gatti) del 19 dicembre scorso diceva così:
“Dieci industrie alimentari controllano oltre il 70% del cibo consumato nel
pianeta. Con i loro 500 marchi, fatturano ogni anno 450 miliardi di dollari
per 7000 miliardi di capitalizzazione. I grandi gruppi coinvolti sono due
leader nel settore bevande, Pepsico e Coca-Cola, poi Danone, Unilever, Mars,
Associated British Food, Mondelez, General Mills e Kellogg’s la più piccola con
13 miliardi di euro (non così staccata dall’unico gigante italiano la Ferrero con
i suoi 8 miliardi). A primeggiare decisamente è Nestlè, che da sola conta un
fatturato superiore ai 90 miliardi. E’ il frutto di una tendenza in atto da
tempo, la concentrazione dei marchi, che - spiegano su Repubblica gli esperti -
permette di condizionare le politiche alimentari dell’Occidente e di molti
paesi poveri. "Ma quella dispensa universale è la nostra brutta
fotografia" commenta Carlo Petrini su Repubblica. @ Allo stesso modo
stanno cambiando il mondo del cibo le biotecnologie. Oggi Emanuele Coen
su L’Espresso analizza il fenomeno delle start up con cibi alternativi (il New
York Times ha inserito tra le invenzioni più importanti dell’anno la
“wikipearl” che si scioglie in bocca a contatto con la saliva) ma anche grandi
marchi che lanciano cibi “rinforzati” come la Coca Cola che nel 2015 lancerà un
latte con il 50% di proteine in più, meno zuccheri e zero lattosio.” E noi ci
chiediamo: in un panorama simile, come si fa a legiferare correttamente sulle
etichettature? Come si fa a informare il consumatore? In un altro post
precedente abbiamo indicato, secondo Assolatte, cosa cambierà, sembra in
meglio (indicare gli allergeni ecc.), con le nuove regole europee per le etichette: ma sarà davvero così?
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