Oggi
è il primo maggio, festa dei lavoratori, con manifestazioni in corso in tutta
Italia e che a Milano si celebra con il corteo dei sindacati unitari, da Porta
Venezia a piazza Della Scala (quello nazionale ha luogo a Perugia), e la Mayday
Parade dei precari, con concentramento in Ticinese, piazza XXIV Maggio, e
diretta quest’anno a Palazzo Lombardia. Il lavoro, su cui si fonda la
Repubblica, è al centro delle misure sui cui si sta impegnando il neonato
governo Letta, che ha già promesso sgravi fiscali sui redditi da lavoro stesso
e sulle assunzioni dei giovani e delle donne. Nonché garanzie di un welfare per
gli esodati, promettendo addirittura una sorta di reddito minimo garantito per
chi il lavoro non ce l’ha o non ce l’ha più. Dove si andranno a reperire i
fondi per attuare questi provvedimenti, però, non è stato chiarito. Come non si
fa abbastanza chiarezza su cosa fare per mettere un argine al precariato. Che è nato quando una
generazione, la mia, quella dei baby boomers, è entrata nel mondo del lavoro
all’epoca dei primi contratti di formazione – lavoro, negli anni Ottanta, un
mezzo per assumere personale a tempo determinato, e quindi di poterlo licenziare senza causa, e con minori oneri fiscali. Da
qui a tenere fuori anche le generazioni successive dal lavoro garantito (il
posto fisso), il passo è stato breve, inaugurando la triste stagione della
flessibilità che ha oggi come epilogo l’esodo dall’attività lavorativa senza la
pensione, ma anche senza nessuna rete di assistenza sociale che si sta cercando
adesso di garantire ai soli lavoratori assunti a tempo indeterminato e poi licenziati intorno ai cinquant’anni. Se perdere il posto non
era già accaduto prima, e senza nessuna possibilità di tornare a essere
occupati, come per le donne che sceglievano il part time al fine di accudire i
loro bambini e a figli cresciuti sono rimaste definitivamente fuori dal mondo
del lavoro. I precari poi non sono favoriti nemmeno dagli annunciati sgravi delle tasse
sul reddito da lavoro, perché sono lavoratori autonomi o partite Iva, soggetti
a quell’ Irpef che da anni, se non da decenni, si promette di riformulare in
modo maggiormente progressivo (meno tasse sotto una certa soglia reddito e
maggiore gradualità a salire), ma non se ne è mai fatto nulla. Quando poi
queste persone, in età matura, perdono il lavoro, non esiste più nessuna
alternativa. Chiaro che se adesso anche gli imprenditori sono i crisi, e molti
di loro oggi partecipano alle manifestazioni dei lavoratori, insieme a cassa integrati,
disoccupati e pensionati, non può che generare ancora più preoccupazione la condizione
dell’occupazione giovanile, con ormai il 37% dei ragazzi tra i 18 e i 25 anni
che non riesce a trovare lavoro, ai quali è stata fatta la sola promessa, già dal
governo Monti, di sconti fiscali a chi li assume e di una riforma
dell’apprendistato, ma che ancora non si è vista realizzare, o non ha dato nessun
esito. Intanto, ogniqualvolta in un settore, come quello per esempio della
ristorazione o del turismo enogastronomico, che sono gli unici per ora in
crescita con ancora molte prospettive di sviluppo, si apre qualche spiraglio,
le chance che si offrono ai giovani, come quelle della ricerca di 6.000
pizzaioli di cui abbiamo già parlato su questo blog, vengono spesso subordinate
agli interessi delle aziende di formazione che offrono corsi che sono in genere
molto costosi, o comunque mai abbastanza trasparenti sui loro effettivi oneri
per i partecipanti. E che durano anche una sola settimana, come se questa potesse
sostituire gli anni di esperienza che ci vogliono a “rubare” il mestiere
lavorando pazientemente fianco a fianco a chi lo sa già fare, magari per molto
tempo, come è sempre stato fin quando si assumeva regolarmente. Il lavoro potrà
essere anche stato il valore fondante della democrazia in questo Paese
all’epoca dei padri costituenti, certo è che della sua dignità e della sua
centralità nella costruzione delle esistenze individuali e collettive, in
questi ultimi quattro decenni se ne è proprio persa la traccia, se non nella
retorica vuota di una casta che si affanna a difenderlo più per auto garantirsi
il diritto a governare ancora, anche tutta insieme, destra e sinistra, che per difendere
l’interesse dei lavoratori. Primo maggio: per continuare a crederci oggi ci vuole
davvero tanto coraggio.
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